Italia - Dan Peterson "Crisi di club, di playmaker e di pivot"
Anche a Dan Peterson, decano della pallacanestro italiana, è stato chiesto di dare un parere su quello che l'eliminazione della Nazionale azzurra al secondo turno della FIBA World Cup significa per un movimento in crisi, e in cui tutti i suoi personaggi protagonisti sono sulla difensiva. Ecco cosa ha raccontato a La Gazzetta dello Sport.
L’ eliminazione dell’Italia dal Mondiale di basket brucia ancora. Quello che fa più male è che gli azzurri contro la Spagna, che poi avrebbe battuto la Serbia, a meno di 3′ dalla fine erano avanti 56-52. Bisogna però considerare che la Nazionale ha già compiuto un capolavoro nel qualificarsi al torneo iridato. E ha «rischiato» di fare un colpo fantastico pur senza il giocatore più importante nell’economia del gioco, cioè l’infortunato Nicolò Melli, che è approdato in Nba. Ma la storia non mente.
Dopo la stagione 2003-04, il basket italiano ha fatto una fatica enorme. Quell’anno, due club italiani hanno giocato la Final Four di Eurolega: Mens Sana Siena e Fortitudo Bologna. Nei 15 anni successivi, soltanto la Mens Sana ci è riuscita nel 2008 e nel 2011. E sempre in quel magico 2004 la Nazionale ha vinto l’argento ai Giochi di Atene. Poi il nulla, nemmeno a livello europeo e mondiale. Sono dati che fanno riflettere. Ma non è soltanto quello.
Per esempio: la questione del playmaker. Se l’Italia avesse avuto uno come Mike D’Antoni per gli ultimi tre minuti contro la Spagna, avrebbe vinto. C’è una lunga tradizione di grandi play azurri: Pieri, Bertini, Ossola, Rusconi, Iellini, Marzorati, Caglieris, Brunamonti, Gentile… Passiamo ai pivot. Senza Melli, non c’era a disposizione un Meneghin, un Calebotta, un Marconato, un Serafini… Senza play e pivot, il Polo Nord e il Polo Sud del basket, è difficile vincere. Poi c’è il capitolo degli stranieri.
Guarda caso, i giocatori elencati sono emersi tutti quando la Serie A aveva zero o uno o due stranieri per squadra. Oggi non c’è più spazio per gli italiani e non ditemi che è impossibile trovare una soluzione per lanciarli. E non ditemi nemmeno che i giocatori italiani sono viziati: ne ho allenati tanti e metto la mano sul fuoco per tutti, seri professionisti. Ma ho avuto anche il vantaggio che loro dovevano giocare per forza. Mi hanno ripagato alla grande. E farebbero altrettanto oggi.