Un trasloco Supersonico cancellò Seattle per Oklahoma City

Un trasloco Supersonico cancellò Seattle per Oklahoma City

(di FRANCESCO RIVANO). I Playoffs NBA sono arrivati e sinceramente gli appassionati del basket a stelle e strisce ne sentivano l’esigenza. Da diversi anni a questa parte l’interesse per la Regular Season è andato via via diminuendo. La stagione regolare sembra ormai diventata una lunga e estenuante processione inframmezzata dal picco in negativo, in quanto a popolarità, rappresentato dall’All Star Game. Qualche scossa la si avverte in prossimità della dead line del mercato in attesa di un colpo alla “Doncic ai Lakers”, ma niente è in grado di gasare il tifoso NBA quanto l’avvento della Post Season. Se quest’anno dovessi fare il nome di una franchigia che merita gli elogi e che si è guadagnata il rispetto sul campo e non per il blasone dello stemma che porta sul petto, beh non posso che citare gli Oklahoma City Thunder. Un core giovane, una pallacanestro tanto prolifica in attacco quanto snervante (per gli avversari) in difesa e un pubblico trascinante che è ancora in attesa di un banner da appendere al soffitto della propria Arena. Che sia l’anno buono? Chissà. Sta di fatto che Shai & C. sembrano avere un’unica missione, battere il primato dei Thunder targati Durant, Westbrook e Harden capaci di portare lo stato dell’Oklahoma a vincere il titolo della Western Conference salvo arrendersi agli Heat nelle Finals del 2012. Non che si possa valutare più di tanto la storia e l’andamento della franchigia di OKC anche perché l’esordio in NBA arriva nella stagione 2008/2009 dopo un trasloco mal digerito dal popolo del basket statunitense, un trasferimento emotivamente tragico che ha lasciato nel cuore di molti tifosi e appassionati una cicatrice ancora sanguinante e un bagaglio di vane speranze.

Quando il capo Sealth si arrese definitivamente all’avvento dell’uomo bianco nella zona presidiata dalle tribù di nativi americani Duwamish e Suquamish, non pensava minimamente che la città alla quale diede il nome diventasse una delle più grande fucine di talenti artistici e sportivi statunitensi. Nel Nord-Ovest sono legati i nomi di Jimi Hendrix, Bruce Lee, Bill Gates, del Grounge dei Nirvana e degli Alice in Chains, i Pearl Jam, i Soundgarden, i Seahawks e…i Super Sonics. Eh si, è all’ombra dello Space Needle che la mole di acqua caduta dal cielo a causa delle piogge incessanti che innaffiano Seattle, crea il terreno fertile per dar all’arte, in qualsiasi forma la si voglia apprezzare, la sostanza di cui necessita per poter fiorire. E la scomparsa della franchigia mai dimenticate dei Super Sonics ha infranto tanti più cuori di quanto abbia fatto la sconfitta dei Sonics stessi contro i Bulls nelle Finali del 1996. Ma perché il popolo del basket non ha mai dimenticato Seattle e soprattutto perche i Super Sonics non esistono più? Seattle entra a far parte della Lega durante il processo espansionistico voluto dalla NBA a fine anni ‘60. Il proprietario Sam Schulman, già proprietario dei San Diego Charges, intravide nella città dello stato di Washington il potenziale per poter garantire un mercato solido alla NBA. La mole di investitori locali volenterosi di spendere del denaro per una franchigia che portasse in alto il nome di Seattle e  le infrastrutture idonee ad ospitare un business sportivo di tale livello, fecero crescere rapidamente l’hype nei confronti della nuova attrazione cittadina. La scelta del nome fu semplice: Super Sonics, in onore del velivolo della Boeing, impresa del settore aerospaziale che aveva dato a lavoro a migliaia di cittadini di Seattle e dintorni. Era chiaro che gli inizi non potessero essere floridi dal punto di vista dei risultati sportivi. La squadra, affidata alla guida tecnica di Al Bianchi non era di certo una squadra capace di competer per i vertici della classifica ma il Seattle Center Colliseum era sistematicamente pieno in ogni ordine di posto e questo bastava alla città e alla Lega per giustificare la bontà della scelta di far sbarcare la NBA in una zona così lontana dai punti nevralgici della pallacanestro statunitense. Verde e giallo i colori sociali e lo skyline della città con lo Space Needle in bella mostra nello stemma: insomma due colori scintillanti e un simbolo rappresentativo ben distinguibile facevano pulsare il cuore di una città intera. A dar ancora più vigore a una città già parecchio innamorata della sua squadra ci pensa l’acquisizione di un giocatore che farà le fortune della franchigia. L’arrivo di Lenny Wilkens cambia la storia sportiva nello stato di Washington. Dal 1969 al 1972 nella duplice veste di allenatore giocatore mette i Sonics sulla cartina geografica delle squadre emergenti della Lega ma ciò che riesce a fare a fine anni’70 gli vale l’immortalità e la riconoscenza eterna. Nel 1978 i Sonics sono costretti ad arrendersi in finale in Gara 7 ai Bullets di Washington guidati dal formidabile duo Unseld-Hayes, salvo prendersi lo scalpo dei capitolini l’anno successivo portando Seattle sul tetto del mondo dopo solo dieci anni di militanza nella Lega.

Seattle non solo vince sul campo ma vince anche sugli spalti diventando la squadra capace di portare più spettatori alle partite rispetto a tutto il resto della Lega e nonostante il declino tecnico fra gli inizi e la fine degli anni’ 80 i Sonics restano ai vertici della speciale classifica delle squadre più seguite. L’avvento negli anni ’90 di Shawn Kemp e Gary Payton riporta in auge una squadra che sembrava non dovesse più riprendersi dopo i fasti di fine anni ’70 e l’arrivo di coach George Karl fa splendere l’arcobaleno durante gli interminabili acquazzoni del Nord Ovest statunitense. E non uso la parola arcobaleno a caso. Gli alley-oop che vedono da un capo The Glove e dall’altro The Reign Man fanno esplodere di entusiasmo quella che ormai è diventata la Key Arena e il livello di fascino e di spettacolarità messo in scena dai gIallo verdi trascina un’intera generazione all’estasi sportiva. Sarà Michael Jordan nel 1996 a privare la città di Seattle del secondo titolo della sua storia, ma le pagine scritte da Kemp e Payton rimangono comunque indelebili nella mente e nel cuore di ogni singolo appassionato fino a fine millennio. Nei primi anni 2000 i Super Soncis restano comunque una squadra di tutto rispetto, acquisiscono Ray Allen dai Bucks e con la scelta al draft del 1998 Rashard Lewis arrivano anche a dar fastidio agli Spurs che vinceranno il titolo nel 2005. A rendere ancora più interessante la squadra ci pensa la prima scelta nel draf del 2007, Kevin Durant ma quello che sembra essere un tassello per la rinascita del sogno dei Sonics si trasforma ben presto nell’incubo dei suoi tifosi.

Il passaggio di proprietà dalle mani del titolare della Sturbucks, Howard Schultz, all’imprenditore di Oklahoma City, Clay Bennet, distrugge un sogno durato quasi 40 anni. David Stern inizia a dubitare della bontà delle infrastrutture della città, gli investitori locali non sono in grado di ripianare il buco creato dalla proprietà precedente e sulla carta di identità di Clay Bennet è ben chiaro il luogo di provenienza: Oklahoma. Proprio Oklahoma City dal 2005 al 2007 si era messa in mostra ospitando gli Hornets, all’epoca di base a New Orleans, costretti ad emigrare a causa dei danni provocati dall’uragano Katrina. In quei due anni le capacità finanziare della città, l’Arena e gli impianti sportivi, accompagnati da un pubblico appassionato e presente, danno a Bennet il coraggio di chiedere al Commisioner Stern il trasferimento. È il 2008 quando gli Oklahoma City Thunder esordiscono nella Lega; è il 2008 quando i Seattle Super Sonics vengono depennati dalla Lega come se non fossero mai esistiti. La storia delle franchigie NBA e dei loro trasferimenti ha da sempre insegnato che il cambio di sede non ha imposto necessariamente il cambio di identità della franchigia stessa. Basti pensare agli Utah Jazz, che nati a New Orleans, hanno lasciato inalterato il loro nome nonostante i Mormoni e il Jazz non fossero proprio carte dello stesso mazzo. Con i Sonics questo non accade. Cambia la città, cambia il logo e cambiano i colori sociali. Insomma in un colpo solo viene seppellita l’identità di una città intera.

Ma perché? A questa domanda c’è solo una semplice risposta: it’s all about business. È in nome degli affari che milioni di appassionati sono rimasti orfani di una delle squadre più iconiche che abbiano militato nella Lega ma i tifosi dei Super Sonics sono ancora vivi e anche se sono ben consapevoli che il ritorno all’ombra dello Space Needle sia difficile sono convinti che prima o poi il basket tornerà in città e il sole della pallacanestro tornerà a splendere e ad asciugare la pioggia che  continua imperterriti a bagnare le loro teste.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.