Magnifico come un “pacco da giù” pieno di leccornie tecniche per Pesaro

Magnifico come un “pacco da giù” pieno di leccornie tecniche per Pesaro
© foto di Canu/Ciamillo

(di FRANCESCO RIVANO). Se escludessimo l’accezione più maliziosa del termine, alla parola “pacco” possiamo associare due concetti ben distinti e opposti che la vedono protagonista. Il primo, quello certamente negativo, si riferisce a una fregatura, a un imbroglio; quante volte avrete usato l’espressione “rifilare un pacco”, sia quando vi siete sentiti truffati, sia quando vi hanno bucato un appuntamento o quando, orgogliosi di voi stessi, avete fatto passare per eccellente un qualcosa di vostro consapevoli che di eccellente aveva veramente poco. C’è poi invece il rovescio della medaglia e quindi l’abbinamento della parola pacco a un evento piacevole, tipico del nativo meridionale costretto a emigrare al nord per necessità personali. Sto parlando del “pacco da giù” che vale molto di più di qualsiasi regalo natalizio, che riapre i cuori e le menti dei nostalgici, che riporta a centinaia di kilometri di distanza i sapori e i profumi della propria terra in terra “straniera”. Insomma, il “pacco da giù” è un’istituzione e raramente viene rifilato come una fregatura. Io al sud ci sono nato, ci sono cresciuto e ci sono rimasto, ma ho molti amici che sono stati costretti a lasciare la propria terra d’origine. Uno di questi, sangue pugliese trapiantato prima a Milano e poi in Toscana, mi ha sempre trasmesso tutto il senso di appagamento fisico e morale a ogni pacco proveniente dalla Puglia, più precisamente da San Severo.

Si narra che San Severo nasca come “Castel Drione”, fondata da un epico eroe greco, quel Diomede protagonista nella battaglia di Troia al fianco di Agamennone tra le fila degli “irosi achei”. Sarà poi la fine del paganesimo a dare alla cittadina pugliese un nome più tendente al sacro che al profano, ma sta di fatto che gli eroi, seppur non più epici, hanno continuato a bazzicare da quelle parti. C’è chi giura di aver visto un supereroe travestito da bidello, operante nella scuola media “Palmieri”, capace di riconoscere il talento cestistico in un bambino di 10 anni alto un metro e settantadue centimetri. C’è chi afferma che un mobiliere, con la passione per il basket e sponsor principale della Cestistica San Severo, abbia avuto contatti con un presidente di serie A per dirottare  quel bambino di 10 anni, ormai cresciuto e diventato fenomenale sotto canestro, dalla Virtus alla Fortitudo con lo scopo di farlo sbarcare a Pesaro dopo un anno di A2 e dar vita a una dinastia biancorossa timbrata da due lettere: la V e la L. Che siano verità, che siano leggende metropolitane, quel ragazzino di San Severo a Pesaro alla fine ci è arrivato per davvero e il matrimonio è stato tra i più felici nella storia della Serie A. La versione ufficiale  parla di un intervento decisivo della madre del giovane Walter, che dando credito al progetto illustrato da Pero Skansi e Bebo Benelli, rispettivamente coach e dirigente della Scavolini Pesaro, convince il figlio che nelle Marche sia scritto il suo futuro. E il fiuto di una mamma raramente sbaglia. Walter, indossa la casacca della Vuelle e parte nell’estate del 1980 per Kranjska Gora, non per sciare, ma per unirsi al ritiro della nuova squadra. È sulle montagne Slovene che oltre alla madre è il destino a scegliere per lui: Roberto Terenzi, ala forte titolare della Scavolini, si infortuna e il giovane Walter prende il suo posto. Da li in avanti quel posto non glielo leverà più nessuno.

Il ragazzo nato e formatosi nel meridione, porta nelle Marche il ritmo del sud che si basa su un concetto fondamentale: “Non aver fretta, c’è sempre tempo per fare tutto”. Nonostante un carattere flemmatico fuori dal campo, all’interno del parquet si trasforma in un leone indomito che lo porta e essere a volte irascibile, spesso litigioso. Ma con il tempo matura. Ciò che non cambia è la classe cristallina che sgorga dalle sue mani e dai suoi piedi. “L’eleganza che decide di giocare a pallacanestro”. È questa affermazione di un giornalista pesarese di adozione che lo ha seguito per tutta la carriera a spiegare cosa fosse Walter in campo e l’unico aggettivo a lui accostabile è proprio il suo cognome: Magnifico.

Due scudetti con la Scavolini, più uno perso a causa di una monetina finita sulla testa di Dino Meneghin (un giorno vi racconterò anche questa), una Coppa delle Coppe e 2 Coppe Italia. Insomma, tutto quello che c’è nella bacheca pesarese porta la sua firma. Ma ciò che ha reso magnifica la carriera di Walter sono i riconoscimenti ricevuti a ogni latitudine. Il rispetto di e per il professor Nikolic che lo ha plasmato definitivamente dopo la salvezza ottenuta nella stagione 1983/1984 rinunciando a futili festeggiamenti e mettendo a disposizione di Walter la sua etica del lavoro nonostante l’imminente scadenza del suo contratto; i commenti entusiasti degli addetti ai lavori della NBA durante il MC Donald’s Open del 1990 dove al Palau San Jordi la Scavolini guidata da Walter andò vicina a battere i New York Knicks di Patrick Ewing; la stima ancora viva tutt’oggi di un mito come Coach Don Casey passato da Pesaro nel 1984; il commento di Svetislav Pesic che dopo una sconfitta della sua Alba Berlino nella stagione 93/94 si presenta ai microfoni dei giornalisti tedeschi infuriati con un laconico: “ Stasera avete visto la NBA, c’è solo da apprezzare” riferendosi alla serata di grazia del duo Magnifico – Mc Cloud; l’invito al camp estivo degli Atlanta Hawks di Mike Fratello rimasto estasiato dalle prestazioni olimpiche di Walter nella Los Angeles del 1984.

Ecco, è forse nella Los Angeles del 1984 che risiede il grande rimpianto di Walter; quello di non essere riuscito a sfidare Michael Jordan militante nel Team olimpico a stelle strisce, ma la carriera del nativo di San Severo è stata ricca e molto generosa. La parentesi pesarese si chiude temporaneamente nel 1996, quando non vedendosi proposto un biennale dall’altro Valter importante per Pesaro, Scavolini, decide di accettare l’offerta della Virtus Bologna. Il ritorno da avversario all’Astronave della Torraccia, così è soprannominato il palazzo dello sport pesarese, ha rigato di lacrime il viso di più di un tifoso biancorosso. Con la maglia bianconera aggiunge una Coppa Italia al suo Palmares prima di militare per tre stagioni a Roma e tornare a casa a Pesaro. Si ho scritto casa, perché la cittadina marchigiana nel frattempo è diventata la casa di Walter. La sua carriera si conclude a Rieti nel 2004 ma di lasciare il basket non se ne parla, svolgendo ruoli dirigenziali per la Victoria Libertas e per la Federazione Italiana.

Caso perfetto di nomen omen. Magnifico di nome e magnifico di fatto, come uomo e come sportivo. Magnifico come un “pacco da giù” pieno di leccornie tecniche, di ricordi sportivi succulenti, di giocate appetitose, inviati da San Severo a Pesaro per regalare gioia a una  tifoseria e a una città che vive di e per il Basket. E se vi dovesse capitare di andare a vedere una partita della VL non faticherete a trovare tra gli spalti la mole imponente di un Magnifico ambasciatore della pallacanestro italiana pronto a dedicare la sua passione per i ragazzi volenterosi di tenere in mano una palla da basket.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.