Una partita memorabile all'italiana: “The greatest game ever”

(di FRANCESCO RIVANO). Anni, mesi, giorni, ore, minuti, secondi. Attimi. Che il tempo scorra inesorabile e è un dato di fatto inconfutabile; cadenza ogni nostra giornata e indirizza le nostre scelte. Per ognuno di noi la percezione del tempo che scorre varia a seconda della situazione che stiamo vivendo: vola via veloce quando siamo felici; sembra si fermi delle ore a ogni secondo quando invece viviamo situazioni d’ansia. In alcune circostanze però il tempo si cristallizza, come se la nostra mente catturasse l’istantanea di un particolare avvenimento salvandola automaticamente nel data base della nostra memoria e lasciandola lì per sempre. Una sorta di fotografia che rimane in bacheca e che viene rievocata quando viviamo situazioni analoghe o quando scorriamo nei ricordi l’andamento del nostro percorso di vita. Attimi memorabili, cioè incastonati nella nostra memoria, che nessuno ci può togliere, neanche noi stessi, nemmeno volendolo. Il momento del primo abbraccio a un figlio per una madre o la perdita di una persona cara; il primo giro al Luna Park per un bambino o la sua prima caduta in bicicletta; il primo amore (che per definizione non si scorda mai) o la prima delusione affettuosa; i primi successi lavorativi o il primo fallimento. Così come nella quotidianità la memorabilità degli attimi entra in campo anche nello sport. Eventi, sfide, partite o singole azioni di gioco, restano nell’immaginario comune come dei capisaldi della storia sportiva venendo citati a distanza di anni per essere presi come esempi, come ricordi iconici. Lo scudetto del Cagliari di Gigi Riva o la doppietta di Maradona all’Inghilterra nel mondiale di Messico ’86 nel calcio; la fuga nella Cuneo – Pinerolo di Coppi o l’impresa all’Alpe d’Huez di Marco Pantani nel ciclismo; i 200 metri da record di Pietro Mennea nel ‘79 a Mexico City o il podio nel 1968, sempre a Città del Mexico di Tommie Smith e John Carlos nell’atletica; la sfida infinita fra Isner e Mahut nell’edizione 2010 di Wimbledon durata 11 ore spalmata su tre giorni e conclusasi 70 a 68 al quinto set nel Tennis. Potrei stare qui a elencare una serie di eventi sportivi “memorabili” in tutti gli sport che volete, ma quello che mi preme sottolineare prima di andare avanti è che ogni singolo attimo che la memoria ricorda viene archiviato dalle persone che lo vivono in maniera differente: c’è chi lo salva nella cartellina delle gioie e c’è chi lo archivia nella cartellina delle delusioni, ma in qualsiasi delle due cartelline venga posizionato, il ricordo dell’attimo memorabile ha un effetto ben preciso, quello di far riaffiorare le stesse emozioni vissute nell’attimo stesso in cui sono state archiviate.
E nel Basket? Ci sono stagioni sportive intere da conservare nella memoria, vittorie, sconfitte, giocate offensive e difensive degne di essere citate e poi ci sono partite che non moriranno mai, che saranno ricordate per sempre per l’eccezionalità degli eventi che si sono verificati in esse. Negli Stati Uniti c’è una pietra miliare fra tutte le migliaia di partite che si sono disputate nella Lega più famosa del mondo: la NBA. Se a chi vive il basket d’oltreoceano da decenni, a chi conosce la sua storia, chiedete quale sia la partita più bella mai giocata in un parquet NBA, la risposta sarà una e una sola: Gara 5 delle Finals del 1976, Celtics vs Suns al Garden. Questa partita merita un racconto a sé, uno spazio dedicato interamente ad essa per la stravaganza dei fatti che si sono susseguiti. In questa sede vi basti sapere che l’hanno spuntata i Celtics, ipotecando la vittoria del titolo, dopo tre supplementari, dopo un’invasione di campo, dopo che gli arbitri, uno in particolare, Richie Powers, sono stati aggrediti dal pubblico e hanno dovuto richiamare in campo le squadre, già negli spogliatoi, per giocare un ulteriore secondo di gioco trasformatosi poi in un altro overtime. Insomma, una odissea più che una partita di basket, che è stata ribattezzata “The greatest game ever”.
Aggressioni in seguito ad invasione di campo dei tifosi, risultato della partita non confermato nonostante le squadre abbiano abbandonato il terreno di gioco, gara 5 di una serie di Finale. Vi ricordano qualcosa questi dettagli? Se siete dei vecchi amanti della palla a spicchi italiana troverete facilmente la risposta. Se siete dei giovanotti che seguono il basket da relativamente poco avrete l’occasione di conoscere un attimo memorabile del nostro campionato.
Stagione 1988/1989, la Scavolini Pesaro detentrice del titolo di campione d’Italia chiude al primo posto la stagione regolare; l’Olimpia Milano, campionessa d’Europa in carica arriva quinta in campionato mentre retrocedono Torino, Venezia Fabriano e la PL di Livorno. Se metà della tifoseria della città toscana deve fronteggiare l’amarezza della retrocessione della PL, l’altra metà, quella che tifa la Libertas, si gode una squadra capace di arrivare immediatamente dietro alla Scavolini. La corsa nella post season nella parte bassa del tabellone vede la squadra allenata da Alberto Bucci sbarazzarsi in serie di Basket City rappresentata dapprima dalla Fortitudo e successivamente della Virtus. I Livornesi quindi si siedono comodi in attesa di capire chi sarà la loro contender in Finale e ciò che accade nella parte alta del tabellone nella semifinale è già di per sé un presagio su come finirà la stagione. A darsi battaglia ci sono la Scavolini di Valerio Bianchini e la Tracer di Casalini. In gara 1 la Scavolini conduce all’intervallo di 5 lunghezze dopo la tripla di Gracis, ma proprio al momento del rientro negli spogliatoi Dino Meneghin si accascia sul terreno di gioco tenendosi la testa. Il referto medico recita: “Piccola ferita lacero-contusa al cuoio capelluto nella regione parietale occipitale destra”. Dovuta da? Una presunta monetina mai trovata presumibilmente scagliata da uno dei 4000 e spiccioli tifosi presenti all’Hangar di Viale dei Partigiani. La partita va avanti senza il grande Dino e la VL vince ma l’Olimpia fa ricorso. In attesa che la giustizia sportiva si pronunci va in scena Gara 2 a Milano e i campioni d’Europa la spuntano per 85 a 82. La vittoria a tavolino in Gara 1 stabilita a favore dei Milanesi lancia la Tracer in finale e lascia a bocca asciutta i Pesaresi che vedono sfumare il sogno di bissare il successo dell’anno precedente.
La Finale quindi è tra il Davide Enichem Livorno e il Golia Tracer Milano, ma nei primi quattro episodi non si nota per nulla la differenza di blasone tra le squadre. I toscani guidati dal nucleo tricolore Fantozzi, Tonut, Forti, Carera con l’ausilio di Wendell Alexis tengono testa al quintetto formato da D’Antoni, Premier, King, Mc Adoo e un ristabilito Dino Meneghin. Il fattore campo la fa da padrone e sabato 27 Maggio del 1989, in via Allende va in scena l’ultimo atto delle finali scudetto sul punteggio di due vittorie ciascuno. La partita si trascina su un lungo e sottile equilibrio che a 34 secondi dalla fine vede l’Olimpia avanti 86-85 e palla in mano. All’epoca dei fatti il limite di tempo per andare al tiro era di 30 secondi e la squadra di Casalini arriva fino a fil di sirena portando il suo miglior tiratore a provare la bomba. Roberto Premier lascia partire il tiro che si infrange sul ferro e i restanti 4 secondi si trasformano in un giallo degno della penna di Agatha Christie. Alexis strappa il rimbalzo e apre per Fantozzi; l’idolo nonché bandiera della Libertas palleggia velocemente sino ad arrivare oltre la metà campo servendo Forti che batte il tentativo di recupero di Meneghin e trova il fondo della retina. Nel frattempo suona la sirena. In un millesimo di secondo lo sguardo di tutti i presenti si rivolge al direttore di gara Francesco Grotti che non solo convalida il canestro ma segnala anche il fallo del centro meneghino. Ai tifosi Livornesi tanto basta per entrare in campo e festeggiare il primo titolo della storia della Libertas. Sul parquet scoppia il caos e come biasimare una tifoseria così appassionata che vede concretizzarsi un sogno. Ovviamente nel delirio non può mancare l’inadeguato di turno: l’addetto alla tribuna stampa livornese, per festeggiare, si sente in diritto di colpire Roberto Premier che sentendosi aggredito si lancia all’attacco in un valzer di cazzotti, abbracci, cadute e gestualità folli degne di essere dimenticate in fretta. Nel mentre che si consuma l’estasi livornese, si seda la rissa tra Premier e mezza Livorno e Gianni Decleva commenta in presa diretta i fatti che si verificano all’interno del palazzetto livornese, ignorato da tutti, passeggiando come fosse un’ombra tra la folla dei tifosi in festa, il DS dell’Olimpia Toni Cappellari attraversa il terreno di gioco e si dirige verso lo spogliatoio della terna arbitrale. Passano pochi secondi e dopo aver conferito con l’arbitro Pasquale Zeppilli, Cappellari fa il percorso inverso, attraversa nuovamente il campo e entra nello spogliatoio degli ospiti. Ciò che mostra alla squadra è il referto rosa. L’arbitro Zeppilli giura di aver sentito la sirena prima che Forti riuscisse a concludere l’azione di tiro decisiva e Milano si laurea ancora una volta Campione d’Italia anche se con qualche minuto di troppo di ritardo. Pian piano la notizia si diffonde all’interno del palazzetto e l’euforia si trasforma in delusione e amarezza. La vera festa si trasferisce nello spogliatoio dell’Olimpia. Avrà avuto ragione l’arbitro Zeppilli? Non lo sapremo mai anche perché la tecnologia del 1989 non era minimamente paragonabile a quella attuale e nessuno ha mai avuto la prova certa che quel canestro di Forti fosse stato realizzato con un attimo, memorabile, di ritardo. Tant’è che Milano vinse e Livorno si vide costretta a trasferire nella cartellina delle delusioni un attimo memorabile che era già stato archiviato nella cartellina delle gioie.
Anni, mesi, giorni, ore, secondi. Attimi. Frazioni infinitesimali nell’inesorabile corsa del tempo che vengono cristallizzati nella mente dei protagonisti. Restano lì, memorabili, indelebili nella mente di chi li ha vissuti, e sono sicuro che ogni presente a Livorno il 27 Maggio del 1989, sia esso giocatore della Enichem o della Tracer, sia esso tifoso della Enichem o della Tracer, avrà quella giornata archiviata tra i propri ricordi e la rievocazione di quell’episodio è ancora oggi in grado di provocare le stesse suggestioni vissute al momento del suo verificarsi. La più grande partita di sempre del Basket italiano? Nessuno l’ha mi etichettata così ma se ci pensate bene faticherete a trovare una partita in grado di trasmettere la stessa quantità di emozioni, positive o negative che siano state, di quella gara 5 delle Finali Scudetto 1989.
----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.