La volta che Adam Silver licenziò Giannakopoulos del Panathinaikos

30.01.2025 16:05 di  Umberto De Santis   vedi letture
La volta che Adam Silver licenziò Giannakopoulos del Panathinaikos

La misura era colma da un pezzo, ma quella sera tutto tracimò terribilmente fino al punto di non ritorno. Non contento dell'arbitraggio, Dimitris Giannakopoulos aveva fatto tirare giù la rete che all'OAKA separa il pubblico dal parquet, e i tifosi del Panathinaikos erano rapidamente rimasti senza più oggetti, ombrelli, accendini, monete da tirare. Qualcuna aveva raggiunto anche il Commissioner di NBA ed NBA Europe Adam Silver nella sua postazione d'onore, malcapitato spettatore. Per di più, in mezzo al campo con la solita maglietta bianca sudaticcia, il miliardario greco aveva spedito i Greens nello spogliatoio. Ritirata la squadra.

Non se ne poteva più: Giannakopoulos doveva andarsene via e cedere il club ateniese, in quanto diventato da qualche anno franchigia NBA, come un Donald Sterling o un Robert Sarver qualsiasi avevano dovuto lasciare i Clippers e i Suns. Convocare d'urgenza il Board di Europe Owners sarebbe stata la prima mossa da fare l'indomani... solo che a quel punto, attonito spettatore, mi chiesi: "Ma come ha fatto Giannakopoulos a cacciarsi in questa situazione? Perché mai i proprietari di squadre europee di vertice, per condividere (forse) i soldi degli yankees, avevano ceduto i propri club per diventare tentacoli di una piovra di business entertainment?". 

Non avrò mai la risposta. La sveglia mattutina e una rapida scorsa ai risultati della notte NBA, tutti realizzati esclusivamente nel Nuovo Mondo, mi ha subito convinto che avevo appena avuto un incubo. E' da diverso tempo che si parla di questo sbarco della NBA in Europa, con la FIBA, con l'EuroLeague, senza la FIBA, senza l'EuroLeague. Chiacchiere senza un filo logico, modelli di business che fanno a cazzotti, differenze linguistiche o fiscali insormontabili o difficilmente armonizzabili certamente nel breve periodo. Due sole certezze: l'ansia da catena di Sant'Antonio che costringe il modello capitalistico alla crescita produttiva all'infinito, e sembra che il PIL della NBA non debba fare eccezione alla regola; l'incapacità cronica della pallacanestro europea di avere una struttura economica autosostenibile senza l'intervento dei soliti mecenati a coprire le perdite.

Anche oggi, che si parla di contatti e colloqui più o meno riservati con grandi club calcistici - pure loro poco avvezzi alle regole del franchising NBA - o di società che sono presenti nei due sport avendo polisportive di grandissima tradizione, rimane sempre questo dubbio di fondo. D'altra parte non si può immaginare che Silver porti investitori d'oltreoceano per far correre loro il rischio che, una volta arrivati i capitali in Europa, vengano estromessi dalla gestione del gioco. Qualcuno dirà che i fondi di investimento made in USA impazzano nelle società di calcio europee, ed è vero. Ma vi partecipano osservando regole che non hanno scritto loro e che non sono in grado di cambiare.