Dei delitti (sportivi) e delle pene (vere e presunte tali)

Dei delitti (sportivi) e delle pene (vere e presunte tali)
© foto di nba.com

(di FRANCESCO RIVANO). La Off Season è forse il periodo più lungo e cupo per l’appassionato di basket NBA. Concluse le Finals che hanno incoronato i Boston Celtics campioni per la diciottesima volta, passato il Draft firmato Bronny James, il tifoso medio vivacchia fra Summer League e avvicinamento alle Olimpiadi parigine per le quali Team Usa ha deciso di scendere in campo con l’artiglieria pesante. Insomma, una sorta di Revenge Team in stile Dream Team in salsa catalana targato 1992. E da questa noia nasce l’attenzione per notizie alternative, quelle che nulla hanno a che fare con risultati, tabellini e statistiche. A volte è uno scambio di mercato, altre volte la dichiarazione di uno o l’altro giocatore che sta trascorrendo un mese di vacanza laddove noi possiamo al massimo spendere un minuto a guardare le foto su Google immagini. Capita però anche la notizia quella seria, quella ti fa soffermare a pensare e magari scrivere due righe su un concetto che è sempre bene ribadire: la distanza fra noi  e loro non è tanto quell’intermezzo di mare chiamato Oceano Atlantico quanto la differenza di cultura sportiva.

Facciamo qualche passo indietro nel tempo e ritorniamo nei banchi di scuola: ora di Italiano, la Prof è intenta a spiegare l’Illuminismo, cita Cesare Beccaria e la sua opera di maggior successo: “Dei delitti e delle pene”.  Siamo nel 1700, ben distanti dai giorni nostri, ma alcuni tratti di questo saggio sono alla base del diritto per come lo conosciamo oggi e sono molto più attuali e contemporanei dell’idea di lasciare che un padre influenzi il suo datore di lavoro ad assumere il figlio  in cambio del prosieguo del rapporto lavorativo (ogni riferimento alla famiglia James e ai Lakers è puramente voluto). Ciò che conta non è tanto la “intensione”, si intensione con la s e non con la z, che sta a significare l’intensità, quanto la “estensione” della pena. Quindi per dissuadere il delinquente dal compiere un determinato gesto criminale, il sistema giudiziario dovrebbe indurre a pensare che la conseguenza di quel gesto sia una pena certa, giusta e duratura. Per farla breve, il delinquente non è dissuaso da un giro di randellate una tantum facilmente dimenticabile da un po’ di riposo e di cure; il delinquente è dissuaso da una pena che lo colpisce nell’animo e nella sua facoltà di agire da uomo libero.

Torniamo alla notizia sul basket che ci fa pensare. Jontay Porter, fratello di Michael Porter Jr. campione NBA appena un anno fa al fianco di NIkola Jokic con la maglia dei Denver Nuggets, è stato squalificato a vita, bannato, come piace dire ai giovani di oggi, dalla NBA a causa del giro di scommesse nel quale si è infilato per guadagnare soldi facili. Pensate voi come è contorta la mente umana: hai la fortuna di avere un talento, anche se minimo, nello sport che pratichi fin da bambino, riesci a strappare un contratto nella Lega più spettacolare del mondo, hai la possibilità di guadagnare dei bei soldi per fare il “lavoro” che ami e che fai? Decidi che quei soldi non sono abbastanza e stabilisci che sia più semplice avere una fonte di reddito attraverso le scommesse. Perché fa pensare questa notizia? Perché alle nostre latitudini, nello sport più popolare del nostro paese c’è chi ha scommesso, anche se in maniera differente da Jontay,  e la punizione è stata differente. È stata una pena basata sulla “intensione” come avrebbe scritto il Beccaria e non sulla “estensione” come quella comminata da Silver. È giusto che a azioni di diversa entità corrispondano pene di diversa entità, ma siamo così sicuri che un ragazzo che abbia passato l’ultimo anno sportivo lontano dai campi perché condannato per aver scommesso sullo sport che pratica, debba meritare la convocazione per rappresentarci in campo europeo a scapito di chi, questa stagione sportiva l’abbia trascorsa sul prato verde a sudare la maglia per cercare di guadagnarsi un posto in nazionale? È questo il messaggio che si vuole far passare? Non sono di certo titolato a dire che il calciatore in questione avrebbe meritato la squalifica a vita come Jontay Porter, ma almeno fargli pesare l’errore con un “NO, a sto giro non c’è posto per te, avrai tempo per riabilitare la tua posizione” sarebbe stato eccessivo? Questo è un esempio che però ben si accompagna con altri accadimenti che tracciano una distanza enorme sul come vengano gestite diversamente situazioni analoghe.

Vi dice niente il nome Shane Keisel? Beh il tifoso degli Utah Jazz che nel 2019 si è permesso di insultare Russell Westbrook con epiteti razzisti è stato bandito a vita dal palazzetto di Salt Lake City. A vita, lo ripeto per far capire quanto si voglia far intendere che in un palazzetto NBA, se ti permetti dai farla fuori dal vaso, in quel palazzetto non ci torni più. E negli stadi europei? Siam ancora fermi ai buuu, alle banane lanciate in campo, agli insulti che costringono i calciatori a bloccarsi e a chiedere all’arbitro di fermare la gara perché tutto ciò non è più sopportabile. Pena? Multa alla società, al massimo chiusura della curva. Può mai essere questo un deterrente? Può questa pena farci vincere la battaglia contro il razzismo? Ma d’altronde siamo figli di una società nella quale i figli sono cresciuti andando al palazzetto e allo stadio dando la mano ai padri che si permettevano liberamente di insultare il nero di turno. Volete un esempio? A cavallo fra gli anni ottanta e novanta fra Rieti, Regio Emilia, Pistoia e Reggio Calabria si aggirava un ex giocatore NBA che era solito portare il figlio alle partite. Il ragazzino, durante gli intervalli delle gare si dilettava a tirare a canestro e a mettere in bella mostra un talento palesemente sopra la media. C’è chi ha smesso di andare a fumare per ammirare quel bambino, ma c’erano anche gli idioti che lo schernivano per il colore della sua pelle. Di certo quei genitori non sapevano che quel bambino sarebbe diventato  un campione e che suo padre, che ha lasciato questa terra qualche giorno fa sotto il nickname di Jellybean, poco si curava dei loro insulti, ma ancor meno sapevano di lasciare ai loro figli un eredità in termini di mentalità che ad oggi, purtroppo, nei nostri luoghi di ritrovo sportivo, resta ancora impunita.

Potrei fare ancora altri esempi sulla esemplarità delle punizioni al di là dell’oceano e citare “The Malice at the Palace” e la punizione inflitta a Ron Artest dopo l’alterco con il pubblico, i più recenti stop imposti a  Draymond Green e Ja Morant per comportamenti poco attinenti alla giustizia sportiva e non solo e paragonarli con l’impunità nei confronti di chi, anche in categorie inferiori si permette di aggredire avversari, arbitri e sostenitori avversari.

Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali

Nel frattempo un giudice statunitense non ha permesso a Jontay Porter di poter andare a esercitare la sua professione in Grecia.Se sbagli paghi e se vuoi riabilitarti devi dimostrare di meritare nuovamente la fiducia della società che ti circonda e che ti ospita. O almeno così è come penso dovrebbe funzionare perché è solo educando in maniera corretta i giovani, con esempi concreti e non con parole inutili, che quel gap di mentalità e cultura dello sport che hanno negli States può essere colmato.

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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.