Dal Libano alla Bay Area fino alle Olimpiadi: l'incredibile cammino di Steve Kerr

Dal Libano alla Bay Area fino alle Olimpiadi: l'incredibile cammino di Steve Kerr
© foto di fiba.basketball

(di FRANCESCO RIVANO). Libano, culla delle civiltà antiche; Sidone e Tiro nate sotto la civiltà fenicia, Ciro il Grande imperatore persiano, Alessandro Magno e la sua idea di dominare il mondo secondo i dettami della cultura greca , la dominazione romana, l’avvento dell’Islam con le campagne dei Mamelucchi e l’assoggettamento all’Impero Ottomano, fino ad arrivare ai giorni nostri. Un paese che da anni vive tra sottili equilibri e continue lotte tra cristiani, ebrei e mussulmani. È il Libano e più precisamente Beirut la terra natia di un uomo che farà parlare di se a migliaia di kilometri di distanza.

Il Libano in effetti non è entrato spesso nella cartina geografica dei grandi eventi sportivi, ma in questa storia ricopre un ruolo importante, perché agli albori di una carriera sportiva da destinare ai posteri, la terra del vicino oriente  fa da culla e da motore propulsivo. La vita di Steven è all'insegna dei grandi trasferimenti, come accade ai figli dei diplomatici. Un po’ qui e un po’ la in giro per il mondo, che se da un lato può sembrare faticoso e fastidioso, perché manchevole di una dimora fissa e di amici da abbandonare ancor prima di poterli definire tali, in realtà è ciò che di più formativo ci possa essere. Una vita all'insegna della comprensione di lingue e culture diverse da cui attingere il meglio di ognuna di esse. Il giovane Steven cresce e si dedica al basket, e dopo gli innumerevoli viaggi al seguito del padre, decide di frequentare l'università di Arizona e di tornare quindi nella terra madre, gli Stati Uniti d’America. Il pedigree del ragazzo di Beirut non è il classico mix di stenti e problemi  familiari dei fratelli neri ma le storie da raccontare sono tante e il carattere è piuttosto particolare. È il 1984, quando nel campus dei Wildcats arriva la telefonata che non ti aspetti. Dall’altra parte del telefono c’è un caro amico di famiglia che ha il compito ingrato di raccontare a Steven l’accaduto. Un miliziano libanese ha ben deciso di prendersi la vita di Malcom Kerr, allora presidente dell'American University a Beirut, togliendo all'amore della famiglia il mentore, la guida, il faro. Il figlio Steven, a tutti noto come Steve, non fa una piega, appoggia la cornetta e torna in camera sua. Il giorno dopo, invece di presenziare alla tumulazione del padre, disputerà la miglior partita della sua stagione da matricola; 5 triple su 7 e vittoria per gli Wildcats di Arizona, una prestazione pazzesca in un clima surreale vista la delicatezza dei fatti appena accaduti, il tutto attraverso uno sguardo impenetrabile e un aplomb disarmante che genererà il soprannome: “Ice”. 

In Arizona resta dal 1983 al 1988 e all’ultimo anno raggiunge le Final Four, prima di essere scelto al secondo giro dai Suns con i quali resterà solo un anno prima di essere ceduto ai Cavaliers di Cleveland. La svolta nella carriera da Pro di Steve è nel 1993. A firmarlo sono i Bulls, appena abbandonati da Michael Jordan volenteroso di cimentarsi nel Baseball dopo aver realizzato il suo primo Three-peat . La squadra non è un gran che senza il 23 e i playoff sono troppo duri per poter andare avanti. Serve un rinforzo, o meglio un ritorno. Jordan torna, viste anche le alterne fortune nel baseball, ma ha bisogno di dimostrare di essere ancora il padrone di casa, di rimettere in sesto quelle gerarchie che lo hanno portato a tanti successi. E l’occasione di abusare di un biondino, tra l’altro nato in Libano, è piuttosto ghiotta. Baruffa nella quale il piccoletto da Beirut non si tira indietro. Sarà il suggello della nascita di un rapporto di fiducia tra Michael e Steve che culminerà con il secondo Three-peat e la totale fiducia del capo nel fido scudiero. L’emblema di questo rapporto sta tutto in una semplice azione. United Center di Chicago, “Be ready Steve”. E Steve si fa trovar pronto. Canestro decisivo in Gara 6 del 1997 contro Utah quando tutti si aspettano l’ennesima magia di MJ ed ennesimo titolo per la franchigia dell’Illinois. 

Dopo i tre titoli a Chicago Steve si trasferisce in Texas sponda San Antonio nella quale incrementerà la sua argenteria contribuendo ai primi due titoli degli  Spurs prima di abbandonare il basket giocato. La vita da ex giocatore resta comunque legata alla palla a spicchi, la famiglia e i figli diventano la priorità, ma Steve da commentatore per TNT resta all’interno di un mondo che lo affascina e che non riesce a lasciar andare via. Ma per un competitore come Steve il microfono non può bastare. La storia si ripete, è di nuovo Phoenix ad aprire le porte della NBA; dal 2007 al 2010 viene assunto come General Manager, ruolo nel quale non si distinguerà per affari favorevolissimi per la sua franchigia (vedi scambio Marion - Shaq che segnerà la fine del Seven Second or Less dei Suns D’Antoniani). Anche il ruolo di GM va stretto a Steve che necessita di qualcosa di più, di  un ruolo che gli ridia l’adrenalina del campo, come ai tempi dei Bulls o di San Antonio. È il 2014 quando le strade degli Warriors e di Mark Jackson si separano. La baia ha bisogno di un nuovo Head Coach e per Steve si materializza il sogno di tornare a respirare l’aria del parquet. Ai suoi ordini una quantità di talento fuori misura, gestita da una proverbiale saggezza e calma che infonde sicurezza e consapevolezza ai propri giocatori. Una famiglia, un’isola felice, un emblema alla collaborazione e al sacrificio dalla quale è nata una nuova era del Basket. Il primo anno è da incorniciare, allenatore della Western Conference all’All Star Game e  titolo per gli Warriors. La stagione successiva si conclude con 73 W e 9 L, record assoluto nella storia NBA. Lo Steve allenatore batte lo Steve giocatore che con i Bulls fece registrare il 72-10 nel 1996, nonostante quel titolo lo perderà in Finale contro LeBron buttando via un vantaggio di 3-1. Da lì in poi altri tre titoli nel 2017, nel 2018 e nel 2022 e la rocambolesca sconfitta alle Finals contro i Raptors.

In questo fine settimana sono iniziate le Olimpiadi e Steve Kerr, alla guida degli USA assalterà il 17esimo oro a cinque cerchi. I favori del pronostico sono tutti dalla sua anche perché per vendicare (parola che piace nello sport a stelle e strisce) la figuraccia mondiale dello scorso anno, la NBA ha mobilitato i giocatori più forti e influenti disponibili. Ma per vincere serve essere uniti e chi può permettere a una raccolta di Superstar di raggiungere, come in una famiglia, l’unità di intenti e la protezione reciproca? Proprio Steve Kerr, agendo e pensando con la disciplina del buon padre di famiglia, come a suo tempo gli aveva insegnato papà Malcolm.

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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.