Piero Coen parla dopo la separazione dalla Trenkwalder Reggio Emilia

19.11.2010 10:40 di  Matteo Marrello   vedi letture
Fonte: Il Resto del Carlino ed. Reggio Emilia
Piero Coen
Piero Coen

Il verbo di Piero Coen. A quasi due settimane dal brusco esonero successivo alla sconfitta casalinga con la Tuscany Pistoia, l’ex coach biancorosso rompe il silenzio. Smaltita la comprensibile rabbia maturata dopo il suo licenziamento, tramutata in altrettanto giustificabile delusione per quello che poteva essere, e non è stato, analizza, a mente fredda, i suoi mesi alla guida della Trenkwalder.
Coen, quali sono attualmente le sue sensazioni dopo il licenziamento?
«Dopo un esonero non stai mai bene, perché quando fai il tuo lavoro con grande passione e vieni licenziato perdi come una parte di te. Tra l’altro è la prima volta che mi capita in carriera e non è decisamente una bella esperienza».
Crede di essere arrivato troppo presto in Legadue?
«E come faccio a dirlo? Credo che per rispondere a questa domanda e per essere giudicato occorresse più tempo. Non mi è stato concesso. Nonostante ci siano allenatori alla guida di squadre con ambizioni ben maggiori, che ne hanno perse più di me, eppure non sono in discussione o cominciano adesso ad esserlo».
Chi non le ha dato il tempo necessario a dimostrare il suo valore?
«Alla fine è sempre la società che decide quando esonerare un allenatore ed è pienamente legittimata a farlo. Tuttavia io credo che, nel mio caso, la dirigenza abbia risentito del clima che si era creato intorno alla squadra».
In che senso?
«Dando per scontato che il pubblico paga e può dire ciò che vuole, nei miei confronti c’è stata diffidenza preconcetta fin dall’inizio, specie da parte della stampa. Mi riferisco a colleghi di giornali diversi dal suo che mi hanno sempre criticato, magari perché dovevano consumare delle vendette personali contro la società, ma non si sono mai degnati di presentarsi al sottoscritto, anche solo per telefono. Questo è un esempio. Non ho mai visto giornalisti agli allenamenti, se non quelli del Carlino, ma comunque solo una volta o due».
Con tutto il rispetto, coach, i giornalisti non licenziano gli allenatori.
«Ma condizionano l’ambiente e incidono sulle situazioni».
Lei invece che errori ritiene di aver commesso?
«Posto che, a Reggio, sbagli anche quando vinci, quindi figurati se perdi, di errori ne ho sicuramente commessi tanti. La sfiducia che sentivo intorno mi ha portato a non fare scelte ancora più forti in tema tattico, come avrei voluto, a non osare di più per far valere le mie idee. Questa è la cosa che più mi rimprovero, avrei dovuto andare per la mia strada, forzando anche la mano, senza farmi condizionare».
Perché non ha fatto valere le sue idee?
«Già c’era sfiducia totale da parte dell’ambiente, le due sconfitte con Casalpusterlengo e Verona avevano creato un clima infernale. Se avessi fatto scelte tattiche più rivoluzionarie, e fosse andata male, mi avrebbero massacrato ancora di più».
Una cosa positiva dell’esperienza reggiana?
«L’ottimo rapporto stretto con dirigenti, staff tecnico e, soprattutto, con i giocatori, un legame che è andato al di là del solo aspetto professionale».
Coach, ha detto e francamente non condividiamo, che i mass-media hanno condizionato oltremisura l’ambiente intorno a lei. Vuole farci un esempio?
«Dopo il match con Pistoia ho letto che Reggio non si meritava uno come Coen, che non ero in grado di gestire una squadra di Legadue. All’indomani del match con la Snaidero, invece, pur di fronte a una sconfitta maturata in identico modo, i toni erano ben diversi. Quasi assolutori. Si parlava di movimenti d’attacco nuovi, invece erano gli stessi di prima. Si è data evidenza a chi ha segnalato il parziale di 50-26 dato agli avversari nel secondo e terzo quarto, ma allora onestà intellettuale avrebbe voluto che si dicesse che i momenti di black-out sono stati peggiori di altre occasioni e che nessuno è stato capace di fermarli».
Non può essere invece che la Trenkwalder fosse un gruppo piuttosto complesso da allenare rispetto al suo credo cestistico?
«E’ certamente una squadra importante, con uno spiccato talento individuale. Ma sotto la mia guida non è andata poi così male. Con più tempo a disposizione, a ranghi completi, le avrei dato un’ identità»
Pentito di essere venuto qui?
«Sapevo che significava dover vincere subito, e molto. Sono convinto che se non avessimo perso con Pistoia, sarei qui a fare altri discorsi. Comunque non rinnego la scelta fatta. Anche perchè è stata un’esperienza utile; mi ha fatto capire che non occorre essere marziani per allenare in Legadue».


Gabriele Gallo