Innocente o colpevole? "The Punch" con Kermit, Kareem, Rudy
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(di FRANCESCO RIVANO). Quali sono le basi su cui noi, esseri umani dotati di intelletto, percepiamo la natura dei nostri simili? Quali sono gli elementi discriminanti attraverso i quali etichettare una persona come un “bravo ragazzo” o un “personaggio da evitare”? Le prime sensazioni, le vibrazioni che ci trasmette una persona appena conosciuta, sono sicuramente un’infarinatura tale da permetterci un giudizio che, seppur sommario, spesso indirizza e contamina la nostra valutazione. Le parole, le argomentazioni, i modi di ragionare e di far valere il proprio pensiero nel lungo periodo incidono e sono importanti. Sono però i gesti che identificano una persona. E quindi i comportamenti in determinate situazioni di vita, le reazioni a particolari episodi critici, la capacità di affrontare i momenti di difficoltà così come di godere delle gioie. Quante volte ci è stato chiesto “e tu, cosa avresti fatto in quella circostanza?” E la risposta, dettata dall’estraneità del coinvolgimento emotivo, non sempre corrisponde con quelle che effettivamente potrebbero essere le reazioni. Posso dirvi come reagirei avendo la possibilità di ponderare le cause e gli effetti, ma non sono convinto che nell’immediatezza dei fatti avrei l lucidità di agire nella stessa maniera. Questa è la mia risposta, perché le emozioni spesso sono più coinvolgenti e trascinanti di un lucido pensiero e purtroppo ci sono casi in cui un singolo gesto sia in grado di gettare talmente tanto fango nella vita di un uomo che nessuna azione degna, né un pregresso di vita immacolato, possa lavare.
Qualsiasi nato nero negli Stati Uniti d’America dei primi anni ’50 abbia avuto come madre una laureata al Teachers College e come padre un tecnico di radiologia, ha tutto il diritto di sentirsi baciato dalla fortuna. Ecco, per Kermit la fortuna è durata giusto i il tempo di un bacio. Il bipolarismo della madre traghetta la coppia a un punto di non ritorno che porta la prole di casa in casa alla ricerca della felicità, come recitava un film che ha avuto un discreto successo. Ci prova il padre da solo; ci prova la madre sovvertendo arbitrariamente la decisione del giudice di affidare i figli al padre; ci prova la bisnonna paterna severa come un sergente dei Marines; ci riprova il padre appena risposato. “Ci siamo,(sussurra Kermit al fratello) la nuova compagna di papà si prenderà cura di noi”, ma in realtà l’unica frase di sentimento che i ragazzi riceveranno dalla matrigna sarà un “fuori dalle balle il prima possibile.” Insomma a rapporti umani non siamo partiti benissimo e il foglio bianco fornito alla nascita dove prendere gli appunti su come comportarsi con il prossimo è già pieno di scarabocchi e disegni incomprensibili. Alla voce “risse” invece abbiamo un resoconto dettagliato.
È una professoressa alla High School a stimolare il giovane Kermit e a far crescere l’autostima e quando il ragazzo comprende che impegnandosi può ottenere risultati e rispetto, ci da dentro. E lo fa sia a scuola che nello sport, crescendo sia come studente che come aspirante cestista. Se con un minimo di affetto e di incoraggiamento si può migliorare così tanto, pensate cosa si possa fare sentendosi amati. È l’incontro con Pat che cambia i connotati (questa locuzione tornerà utile più avanti) alla vita e al carattere di Kermit. L’amore lo rende forte, sicuro e intraprendente e Kermit decolla fino a diventare uno studente universitario, fino a raggiungere 20 punti di media in punti e rimbalzi al college, fino a laurearsi in sociologia, fino ad essere scelto dai Los Angeles Lakers al draft del 1973. “Ora ci racconterai quanti punti avrà messo a segno, quanto rimbalzi avrà preso, quanti titoli e onorificenza avrà raggiunto” penserete voi. E invece no, vi accompagno dritti al punto (forse di non ritorno) della carriera, forse della vita di Kermit.
Forum di Inglewood, Los Angeles, California. 9 Dicembre 1977. Gli Houston Rockets fanno visita ai Lakers. Siamo nella NBA degli anni ’70, nella NBA dove ogni rissa è lecita, anzi gradita al pubblico, ma nessuno dei presenti può immaginare come una baruffa, nonostante tra uomini di quella stazza fisica, possa degenerare in un atto quasi omicida. Sotto il canestro dei Rockets Kermit lotta assieme al compagno più rinomato Kareem per contendere la palla a tale Kevin Kunnert. La palla sguscia via sulle mani dei texani che partono rapidi in contropiede, ma il gesto tecnico di John Lucas, intento a depositare la palla all’interno del canestro nel più semplice dei layup, viene oscurato dal groviglio di corpi dall’altra parte del campo. Kunnert e Kermit sono ai ferri corti e Kareem vuol partecipare alla danza. È qui che accade l’impensabile. Come speso accade nelle risse colui che si prende l’onere di sedare l’alterco è quello che ha la peggio. Rudy Tomjanovich, che probabilmente non ha mai partecipato a una rissa in carriera e forse nella vita, corre verso i contendenti e non appena arriva a destinazione la luce si spegne: “un melone che si infrange sul’asfalto”. Un rumore talmente forte e inatteso da coprire il frastuono di un’intera arena infiammata dall’ennesima lotta sul parquet. The Punch!!! Il pugno che Kermit Washington rifila a Rudy T è di una violenza tale da zittire tutto l’ambiente circostante. Il bollettino medico recita fratture multiple, sanguinamenti vari, addirittura travaso di liquido spinale dal cervello alla bocca. “Ricomporre quel viso è stato duro quanto cercare di ricomporre con lo scotch un guscio d’uovo rotto in pezzi.” Da lì in poi nella NBA si stringono le viti: Tomjanovich si riprende nonostante “molti con una situazione clinica migliore della sua non ce l’hanno fatta”; la NBA commina 60 giorni di sospensione a Kermit Washington; ogni pugno o gomitata volontaria da lì in avanti genererà automaticamente la squalifica e soprattutto nasce la regola che infrangerà il mio cuore di tifoso di Steve Nash a metà anni 2000. Il motivo? Ricordate la serie tra Suns e Spurs del 2007? Decisa dalla regola introdotta dall’allora avvocato della Lega successivamente diventato Commissioner David Stern. I Suns infatti pagarono l’ingresso in campo dalla panchina di Boris Diaw e Amar’e Stoudemire in difesa di Steve Nash colpito da Robert Horry. Lunghi dei Suns squalificati, serie agli Spurs, e regola introdotta dopo The Punch rispettata: nessuno può entrare in campo dalla panchina per partecipare a un alterco. Da lì in poi Washington, reo di aver reagito istintivamente alla legge della strada (“se in una rissa di strada qualcuno di corre incontro colpiscilo prima che lo possa fare lui”) viene emarginato emotivamente e fisicamente dal resto del mondo che lo circonda. Minacce di morte, mobbing sul lavoro, addirittura, e siamo alla follia, viene cacciato da un ospedale assieme alla moglie gravida bisognosa di una visita ginecologica.
Insomma cari giurati, colpevole o innocente? L’arringa dell’avvocato difensore fonderebbe la sua difesa sul fatto che un errore ci può stare, che la vita di Kermit fin a quell’episodio fosse stata irreprensibile, che, con un trascorso di vita così difficile, abbia avuto un eccesso di autodifesa in una situazione ritenuta pericolosa. E se a riabilitarlo agli occhi di tutti è stato colui che ha subito la sua furia, beh allora chi siamo noi per condannarlo? Se non fosse che: “Obiezione vostro onore. Ci sono nuove prove. L’imputato si è intascato mezzo milione di dollari destinati a un progetto benefico e condannato per truffa, riciclaggio e evasione fiscale.”
Sono i gesti che identificano una persona. Sono i modi e i tempi con cui vengono compiuti tali gesti a farci capire con chi abbiamo a che fare. E caro Kermit se The Punch è stato un gesto dettato dall’istintività del momento, seppur cruento e furioso, che non può e non deve dar diritto a nessuno di farti passare quello che hai passato nel prosieguo della tua vita, il furto perpetrato intenzionalmente a dei poveri bambini che versano in situazioni simili, se non ancor peggiori dalle tue alla loro età, non è né concepibile né giustificabile ergo il verdetto: per l’accusa di aver rischiato di uccidere il Signor Tomjanovich assolto in quanto non c’è premeditazione ma per le accuse di truffa colpevole vostro onore, colpevole, oltre ogni ragionevole dubbio!!!
----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.