Giovanni Veronesi: la stagione Dinamo, le difficoltà e l'adattamento alla Serie A

Giovanni Veronesi è stato ospite dell'ultima puntata di Alley Oop, trasmissione in onda ogni martedì su Revolution dalle 17 alle 18 e condotta da Eugenio Petrillo, Alessandro di Bari e Marco Lorenzo Damiani. Il giocatore della Dinamo Sassari ha parlato del suo primo vero anno in Serie A, del suo percorso in A2 e delle realtà che lanciano i giovani. Segue un estratto delle sue parole.
La stagione della Dinamo Sassari.
"Partirei dal presupposto che comunque è stata una stagione difficile perché quando si crea un nuovo nucleo è sempre difficile. Bisogna capire le gerarchie, capire le dinamiche che ci sono all'interno del campo, capire cosa vuole l'allenatore, perciò siamo partiti abbastanza a rilento da quel punto di vista. Poi dopo, piano piano, siamo riusciti a uscirne. Ovviamente poi col cambio allenatore e con l'aggiunta di Rashawn Thomas e di Briante Weber tutto è andato meglio. Con Bulleri abbiamo cambiato completamente il nostro sistema difensivo e il modo di approcciare le partite, poi la qualità del roster c'era anche prima, ma andava magari sfruttata in un determinato modo".
L'adattamento alla Serie A.
"Ovviamente quando firmi in una Serie A, sai che avrai un ruolo un po' più marginale. D'altra parte però un giocatore che arriva a questo livello ha una competitività tale che non si tira indietro. Se mi arrivavano una o due palle che potevo tirare le tiravo. Comunque ho ventisette anni e ho fatto tante stagioni di gavetta, quindi so che il canestro è alto sempre uguale, la distanza del tiro da tre è la stessa e quello che so fare è quello, perciò mi sono detto, sai cosa c'è? A costo di sentirmi due o tre cazziatoni, quello che mi sento lo faccio. Poi chiaramente quando fai NE, quella dopo giochi due minuti e la terza magari fai di nuovo N.. allora lì magari inizi un po' a risentirne. Però alla fine ho lavorato e le risposte sono venute da sole".
Le società che lanciano i giocatori in A2.
"Ci sono due tipologie diverse di squadre, secondo me: i ‘big team’ che hanno budget molto importanti e sono quelle che poi sono sempre state tra i primi posti, le varie Udine, Rimini, eccetera. E poi ci sono le società come Piacenza o Cividale, che sono sono guidate da una grandissima passione. Club che tutti gli anni sono sempre lì a fare delle squadre, a dare possibilità ai ragazzi giovani di far bene. Questa, secondo me, è una cosa che manca un po' nella pallacanestro italiana. Da Piacenza sono usciti tanti giocatori, ma nessuno ne ha mai parlato. Io vengo da Agrigento, un'altra società dove si sono formati numerosi ragazzi. Io sarò eternamente grato a queste realtà, perché io sono il prototipo di un giocatore che ha dovuto fare tanti anni per arrivare in Serie A, e senza queste squadre che mi hanno dato la possibilità di dimostrare quanto valessi magari non ci sarei riuscito".
Il sistema di Piacenza, Cividale e Agrigento applicato alle grandi piazze.
"È difficile, perché ovviamente ad oggi se vuoi vincere un campionato in A2, per il livello estremamente alto che c'è, deve avere dieci giocatori veri. Per assurdo è più facile in Serie A. C'è Varese che fa giocare Librizzi, che fa giocare Assui, o Trento, che dà spazio a Ellis, però in Serie A è diverso. Bravi loro perché comunque bisogna avere il coraggio di dare spazio a questi ragazzi, però sai che lì ci sono Milano o Bologna che bene o male andranno a giocarsi la finale, poi magari quest'anno non sarà così, però comunque negli ultimi anni sono sempre andate loro. Se tu sei Trento e hai dei ragazzi che sono futuribili, gli dai spazio e poi vedi, è più facile, tra virgolette, perché comunque li circondi di giocatori di un certo calibro. Trento ha messo Ford dalla panchina, non Gianni e Pinotto, uno che entra e ti fa 25 punti. Così un po’ ti pari un po' le spalle".
La strada del NCAA come rampa di lancio.
"Ci sono diversi pro e diversi contro. I pro sono a livello fisico, puoi fare un grandissimo salto di qualità, così come a livello individuale sulle skills. I contro sono che di pallacanestro ne capirai fino a pagina 2, ahimè. Gli americani che arrivano qua, che fanno i primi anni in Europa sono molto confusionari, perché comunque è un basket diverso. Se oggi avessi l’età per andare al college, col fatto che l'NCAA inizia a pagare e avessi un'opzione valida, da Division I, ci andrei. Se invece mi proponessero una Division II e così via, non credo sceglierei il college".