Olimpia, Zach LeDay: dai riti alla preparazione maniacale al coro “MVP MVP”

Olimpia, Zach LeDay: dai riti alla preparazione maniacale al coro “MVP MVP”
© foto di SAVINO PAOLELLA

Zach LeDay è stato nominato MVP del Round 24 di EuroLeague dopo la sua prestazione da 39 punti di valutazione, con 33 punti – record carriera eguagliato -, otto rimbalzi, 5/7 da tre, ottenuta contro il Panathinaikos. Quest’anno, LeDay era stato MVP anche del Round 7, in seguito al successo ottenuto contro la Virtus Bologna, e del Round 15 dopo la prova di Barcellona. E’ la prima volta che un giocatore dell’Olimpia è Round MVP tre volte nella stessa stagione.

Zach LeDay corre, salta, anzi rimbalza lungo la linea laterale. Scambia cinque alti con i tifosi, sgrana gli occhi, sorride come fosse Magic Johnson all’apice della carriera. Lascia qualche decimo di secondo al rientro difensivo per scrollare il compagno che ha appena schiacciato, contento come se avesse schiacciato lui stesso. Vola in panchina toccando tutti fino ad arrivare in fondo, salire sulla cyclette, e commentare a voce alta tutto quello che succede in campo quando lui è fuori. Zach LeDay è istrionico, rumoroso e divertente. Ma questa è solo la facciata. Quella pubblica.

Dietro la facciata si nasconde un lavoratore attento. Attento a tutto. Attento ai dettagli. “Attento a come cura il proprio corpo, a come mangia”, puntualizza Coach Ettore Messina. In trasferta si porta dietro tutti gli apparecchi che gli permettono di sentirsi sempre pronto. Il giorno della gara mangia solo frutta per essere leggero ed esplosivo. Dopo ogni allenamento si toglie la canotta e si sottopone ad una lunga sequenza di tiri da tutte le posizioni. Il lavoro paga: Zach LeDay, che era approdato in Europa in Israele con la speranza di molti che potesse rivelarsi una nuova versione di Kyle Hines, centro di energia ma sottodimensionato, adesso è un’ala forte con un tiro letale, oltre il 51% da tre. Nessuno dei primi dieci della classifica di EuroLeague ha tirato quanto lui. Con dieci partite da giocare, ha già superato il totale dei canestri da tre punti in una stagione, record che risaliva proprio a quando era a Milano. In termini di precisione non è mai stato ai livelli attuali. Ma in generale, questa è la miglior stagione della carriera.

Zach LeDay è sempre il primo ad arrivare al campo, due ore prima. Effettua il riscaldamento già in uniforme. Si avvicina sempre a qualcuno, può essere Nikola Mirotic o il coach Beppe Mangone, e pronuncia i suoi propositi per la gara. “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, dice spesso. Lo zainetto è sempre con lui. È diventato un oggetto di culto, che cambia spesso, ma non necessariamente contiene oggetti curiosi. Il più significativo è un quaderno con gli appunti. “Appunti di tutto, caratteristiche degli avversari, concetti da ricordare, frasi, qualunque cosa mi possa servire durante la partita”, spiega. Lo tiene a portata di mano, lo sbircia per l’ultima volta poco prima di andare in campo. Zach LeDay è maniacale nella preparazione prepartita. Esce dallo spogliatoio per ultimo – sempre – un attimo dopo Mirotic. Ha lo zaino in spalla e una bevanda energetica in mano. Ha sempre il pallone sottobraccio. Lo deposita in spogliatoio dopo l’ultimo allenamento e lo ritrova lì, accanto alla maglia. Quando entra in campo, anche a gara iniziata, corre subito dall’arbitro, a toccare il pallone. Gesti scaramantici, riti. Ma c’è tanta sostanza dietro ogni piccolo gesto.

I progressi al tiro sono l’aspetto più evidente della sua evoluzione. Zach è un giocatore di energia, coraggio fisico, mestiere. Ma è diventato anche un eccellente trattatore di palla, può palleggiare lungo il campo e attaccare l’avversario dal palleggio, aumentando il numero di falli subiti. Il suo tiro dalla media, quel movimento atipico in cui resta un attimo più dell’avversario in aria, galleggiando, abbandonando la mano di appoggio usando solo la destra, è il marchio di fabbrica. “Qualcuno mi ha suggerito di modificare lo stile, ma tiro così da quando avevo 14 anni e tirando così sono arrivato qui: nessun motivo per cambiare”.

LeDay è un texano della zona di Dallas. Dove il football regna. Con la sua taglia fisica e la sua energia, aveva cominciato così, giocando a football. Ma anche a basket. Praticava due sport e non sognava necessariamente di giocare nei Dallas Mavericks, potevano andare bene anche i Dallas Cowboys della NFL. Dominare fisicamente è nel suo DNA, ma non sempre è stato sufficiente. Ha giocato a South Florida, ma licenziarono l’allenatore che l’aveva reclutato, Stan Heath, e allora se ne andò a Virginia Tech perché lì era andato Steve Roccaforte, che l’aveva portato a USF. “A Virginia Tech partivo dalla panchina. Ero il giocatore di riferimento, ma volevo dimostrare ai compagni che sono altruista, che posso adeguarmi ad ogni ruolo, non importa se titolare o riserva, e potevo lo stesso dominare, giocare il più duro possibile e fare tutto quello che serviva per aiutare la squadra a vincere. Coach Buzz Williams mi ha insegnato ad usare la mia energia e fisicità nel modo più intelligente che partissi in quintetto o meno”. Anche ora, non parte sempre in quintetto ma il suo rendimento è sempre quello.

Quando è approdato in Israele, all’Hapoel Gilboa, doveva essere un centro piccolo ma aggressivo, fisico. Fu da rookie il secondo realizzatore e il quinto rimbalzista del campionato israeliano. “Avevamo veterani esperti in squadra che mi hanno preso sotto la loro ala. Il mio primo anno in Israele era anche la mia prima volta fuori dagli Stati Uniti. Avevo un allenatore (Ariel Bet Halahmi, ndr) cui piaceva giocare veloce, avanti e indietro, quel tipo di basket, ci siamo trovati bene e siamo stati in grado di fare cose speciali. La squadra non era mai andata così bene. È stata una stagione storica”. Così si è trovato in EuroLeague, prima all’Olympiacos, poi allo Zalgiris e quindi a Milano nella stagione delle Final Four e anche del miracoloso canestro sulla sirena di Gara 1 dei playoff. L’alley-oop da rimessa di Malcolm Delaney.

“Blessed”, benedetto, fortunato, risponde quando qualcuno gli domanda come si senta. “Blessed” perché? “Ad esempio, perché sono stato allenato dai migliori allenatori. Tutti mi chiedono com’è essere allenati da Ettore Messina e Zeljko Obradovic, che ho avuto negli ultimi cinque anni, ma ho avuto anche David Blatt e Saras Jasikevicius. Il mio obiettivo è sempre quello di fare quello che loro vogliono. Non mi considero un centro o un’ala forte, sono un giocatore senza ruolo, che cerca di fare quello che serve per vincere e il mio proposito è diventare uno dei migliori giocatori di EuroLeague. E a Milano alzare il livello della squadra come ho sempre cercato di fare, tornare dove eravamo quando sono andato via”.

Quando era venuto a Milano la prima volta non poteva essere un leader perché c’erano leggende come Kyle Hines, Sergio Rodriguez e Gigi Datome in squadra. Lui faceva parte del nuovo che avanza con Shavon Shields e Kevin Punter. “Ma quando sono andato al Partizan, eravamo una squadra nuova e mi sono trovato ad essere uno degli elementi di maggiore esperienza. Lì ho capito come essere leader. E ho portato questa leadership con me”, dice. LeDay è un leader vocale, un capopopolo. Uno che incoraggia i compagni. Ma è anche un leader con l’esempio. “A Istanbul, tutti sapevano che non era in grado di giocare”, ricorda il Coach Messina. Questo l’ha assorbito da Kyle Hines: se puoi giocare giochi. Anche questa è leadership. Quella che porta gli 11.000 dell’Unipol Forum ad accompagnarlo nello spogliatoio al grido di “MVP MVP”.