Anche l'Olimpia Milano ha il suo Unicorno: Luigi Suigo

La definizione non è chiaro chi l’abbia inventata, ma Kevin Durant se ne è attribuito la paternità e nessuno l’ha mai smentito. Ma non stava parlando di sé stesso anche se avrebbe potuto farlo. Stava parlando di Kristaps Porzingis, il lettone che giocava allora a New York e adesso è a Boston. Unicorno. Da quel momento, unicorno è diventato il termine – abusato – con cui si identifica un giocatore molto alto che ha in molti casi la tecnica di una guardia e si muove quasi come una guardia, non con la stessa velocità ma con la stessa fluidità. Luigi Suigo è l’unicorno dell’Olimpia Milano. Ha 18 anni, è alto 2.20 e quando conquista un rimbalzo poi può palleggiare direttamente, e quando riceve palla sulla linea dei tre punti può anche tirare. Nella finale della Next Gen Cup di Brescia ha segnato ripetutamente dalla media distanza, non solo scaraventando nel ferro gli alley-oop dei compagni.
Eppure… “Eppure, per cinque anni non ho giocato a basket – racconta – Mi ero appassionato grazie ad un canestrino che mio padre aveva appeso in giardino. A sette anni sono andato a giocare a Tradate, ma avevo problemi ai talloni, dovuto alla crescita. Ad un certo punto, ho dovuto smettere. Cinque anni dopo, quando avevo 12 anni, ho potuto riprendere seriamente. Prima, tutto quello che potevo fare e facevo era giocare al campetto e imitare il mio primo idolo, James Harden. Erano i tempi in cui poteva segnare 40 punti in ogni partita: io andavo al campetto e imitavo il suo step-back”.
Quando sei così alto, giocare è normale. Vieni spinto, quasi obbligato a farlo. È il motivo per cui molti scout analizzano con attenzione il linguaggio del corpo dei giocatori lunghi. Anche chi ha talento, qualche volta non ha tutta la passione necessaria per emergere. Ma non è il caso di Suigo. “La passione l’ho sempre avuta. Poi essere tanto alto, mi ha aiutato e dato modo di credere di più in me stesso e in cosa potrei diventare, ma la passione c’è sempre stata a prescindere dalla statura”.
La prima squadra è stata la Sportland Tradate, poi Gigi ha giocato nella Varese Academy per trasferirsi a Milano nell’estate del 2022 unendosi ad un gruppo che aveva già vinto il titolo Under 15 e ritrovando anche ragazzi che aveva conosciuto in Nazionale come Achille Lonati e Diego Garavaglia: “Sono i miei migliori amici, ci chiamano i tre moschettieri. Diego poi l’ho conosciuto in Nazionale Under 15, prima che venissi a Milano, e insieme siamo stati convocati per il raduno dell’Under 16. Anzi, lui è andato agli Europei, io non ero abbastanza bravo e sono stato rilasciato”, ricorda. Quella è l’estate in cui è andato via da casa. “Lasciare Tradate non è stato un problema. Purtroppo, mia madre è mancata presto e io ero abituato a tornare da scuola e prepararmi da mangiare, studiare, allenarmi e rivedere mio padre solo la sera, al ritorno dal lavoro. Venendo a Milano, per me non è cambiato nulla. Con i ragazzi della foresteria ho instaurato un rapporto che durerà per tutta la vita. Ma sul campo le difficoltà ci sono state perché l’intensità richiesta in allenamento e la quantità di lavoro svolto erano molto diverse da ciò cui ero abituato”, spiega.
Tra l’arrivo a Milano e adesso, in mezzo ci sono state due Next Gen Cup vinte, un argento mondiale con l’Under 17, uno scudetto Under 19, il debutto in Serie A con canestro annesso (“La partita stava finendo, di solito si lascia correre il cronometro, invece Nikola Mirotic mi ha detto di correre, poi mi ha passato la palla e ho tirato d’istinto, poi non so cosa sia successo”); poi la convocazione tra i migliori diciottenni del mondo a San Francisco e le attenzioni di tutti i grandi college d’America.
“Non vivo queste attenzioni come una costrizione, non sento questo tipo di pressione. Penso che mi diano forza, siano motivanti. Se ci sono attenzioni su di me, se ci sono aspettative, succede perché qualcuno crede in quello che sto facendo. Voglio dimostrargli che ha ragione, ripagarlo della fiducia”. E per riuscirci non si limita a lavorare, ad allenarsi duramente conciliando i tanti impegni sportivi con quelli scolastici (studia informatica, è in quarta superiore all’ITIS), studia i suoi modelli. Giannis Antetokoumnpo è stato uno. “Ma ora studio, e cerco di copiarlo perché vorrei somigliare a lui, Victor Wembanyama”.
Il volo si illumina quando Suigo parla della recente esperienza a San Francisco (“Tutto strutturato bene, era la mia prima volta in America, ho trovato tutto un po’ strano, ma a San Francisco ci hanno portato anche fuori, in un centro commerciale con un evento dedicato all’All-Star Game, in sala giochi”), ovvero il primo contatto con il mondo NBA. In realtà nella finale dei Mondiali Under 17 (dove ebbe nove punti e cinque rimbalzi) aveva già incontrato qualche prospetto destinato a breve alla NBA come AJ Dybantsa o Cameron Boozer. “Ma mi sono sentito competitivo anche contro i giocatori incontrati a San Francisco. Quelli del mio ruolo erano più grossi e saltavano tanto, cosa che io purtroppo non riesco a fare, ma sul piano della tecnica, tiro da fuori, passaggio, penso di aver compensato le differenze fisiche”.
È quello che lo rende appunto un Unicorno. Fortunatamente, nessuno gli ha mai detto di non tirare da fuori. “Fin da quando sono entrato in campo a Tradate per la prima volta tirare da fuori è qualcosa che ho sempre fatto e anche i miei allenatori non mi hanno mai sconsigliato di farlo. All’inizio, le percentuali erano basse, ma ho insistito perché tirare da fuori mi piace tanto, non li accontentavo solo di giocare sotto canestro. Volevo sviluppare questa caratteristica. Anche perché altrimenti non avrei potuto fingere di essere Harden”, sorride.