A2 - Valtur Brindisi, contro Udine una vittoria densa di significati
La trama sembra quella di un film americano. Le polemiche, le prestazioni che non convincono, il caos, l’ammutinamento e poi, alla resa dei conti, la vittoria. Senza ombra di dubbio la più bella finora, con la prestazione migliore della stagione in un campo, quello di Udine, che mai era stato ancora violato quest’anno. Brindisi ha vinto una partita dai mille significati e lanciando messaggi ben chiari con i suoi uomini più importanti. Lo fa nella settimana in cui si è compiuto il grande tradimento di Bryon Allen, che ha dimostrato un po’ a tutti la sua grande levatura morale non presentandosi agli allenamenti e forzare la sua cessione (la Società si è già riservata di tutelarsi nelle sedi opportune). Insomma, Brindisi si è presentata a Udine sull’orlo di una crisi di nervi, con i suoi giocatori più rappresentativi in crisi e con una nuova guardia americana, Isiah Brown proveniente dalla Juvi Cremona (ragazzo molto interessante), arrivato da appena due giorni ed è uscita dal Pala Carnera con tante risposte, tutte chiarissime.
BROWN E UN ATTEGGIAMENTO DIVERSO - Sin dal primo quarto si è visto che qualcosa di diverso nell’atteggiamento c’era. Brindisi ha perso tanti palloni, ma, a parte una paio di sciocchezze di Calzavara, le ha perse per cercare il passaggio, per provare a mettersi in ritmo. Brown, come detto da Bucchi, si è inserito molto bene facendo poche cose, ma efficaci. Innanzitutto, a differenza del suo predecessore Allen, non ha mai fermato la palla, ma ha continuato a seguire il flow offensivo. Si è preso dei tiri giusti, con senso, senza grosse forzature. Si è dimostrato abile nella lettura del pick’n roll, ha messo due ottime triple dal palleggio sfruttando bene i blocchi, e soprattutto ha attaccato il canestro con grande energia e con i tempi giusti. Non importa l’1/6 da due, in quanto tre penetrazioni hanno portato a facili tap in offensivi, segno che la scelta era giusta.
SEGNALI CHIARI E PRECISI - Il messaggio più forte l’hanno dato però i senatori di questa squadra, gli uomini di più esperienza che più pagavano l’egoismo di Allen e che proprio oggi erano chiamati a rispondere presente. Mark Ogden si è preso i galloni da leader, autoeleggendosi a star della squadra e mostrando a tutti la via con una partita strepitosa da 25 punti e 10 rimbalzi con 10/10 da due e 1/1 da tre. Niccolò De Vico, in ombra per quasi tutta la partita, ha deciso di salire in cattedra negli ultimi 5 minuti e far capire che quando c’è bisogno la squadra può contare su di lui (8 punti con 2/3 ai liberi e 2/2 da tre nei momenti topici). Il terzo, da non sottovalutare, l’ha dato Tommaso Laquintana. Dopo 35 minuti di confusione, ha condotto la squadra con una lucidità disarmante, senza sbagliare una scelta in attacco e in difesa. Nella zona press udinese degli ultimi minuti, ha sempre preso le decisioni giuste, ma soprattutto con i tempi giusti, arginando ogni minimo tentativo di rimonta. L’ultimo vero messaggio lo ha mandato coach Bucchi. La squadra ha giocato in modo corale (i 22 assist finali e tutti i giocatori a referto andati a punti non possono essere un caso) si è sempre passata la palla e non l’ha mai fermata alla ricerca di 1vs1 infruttuosi come faceva Allen spesso e volentieri. Nel primo tempo si sono visti più backdoor che in tutto il campionato, possibile grazie a movimenti importantissimi di Giovanni Vildera che ha sempre liberato il pitturato lasciando spazi per i tagli degli esterni. Non solo, Vildera ha fatto vedere tutta la sua importanza non solo come rimbalzista, ma anche come passatore intelligente qual è, mettendosi in posizione di perno offensivo sull’apice della linea dei 6.75 e giocando da play aggiunto (3 assist di pregevole fattura).
IL MOVIMENTO CONTINUO - Ogden è un giocatore che nell’1vs1 spalle a canestro è quasi impossibile da marcare, ma bisogna metterlo in condizioni di farlo. Con una guardia che tiene palla per 18 secondi e poi la dà in post, senza che la difesa si sia mossa di un cm, è difficile creare e spaziare per cercare la soluzione migliore. Ieri invece la palla a Ogden è arrivata con i tempi giusti e nei momenti giusti, dopo che la difesa si era mossa e si era creato o un vantaggio, o una situazione in cui era possibile giocare un reale 1vs1. Non a caso la varietà di soluzioni di Ogden è stata immensa, in quanto ha avuto la possibilità di scegliere se prendere la linea di fondo o il centro dell’area, se portare il difensore fuori dal pitturato oppure sfruttare il vantaggio fisico vicino canestro. Accanto a lui anche Vildera e un ottimo Del Cadia hanno beneficiato degli spazi e del movimento di palla, trovando facili soluzioni in avvicinamento a canestro. Quando la squadra si muove bene, tutti entrano in ritmo più facilmente, tutti si sentono responsabilizzati dal ruolo che hanno nell’ingranaggio complessivo di squadra e voilà, ecco che le percentuali di colpo si alzano. Un esempio? Ieri Brindisi ha tirato con il 66% da due e il 50% da tre, mentre finora in stagione tirava rispettivamente con il 53% e il 33%.
QUESTIONE DI ALFA - Si sa che negli spogliatoi c’è sempre un maschio Alfa designato ed è evidente che Mark Ogden abbia deciso che, senza Allen, quel ruolo è il suo. Adesso tra i due americani c’è una chiara differenza tra chi è il Batman e chi il Robin e ai fini dell’armonia dello spogliatoio molto spesso è un bene. Accanto a Ogden si erge De Vico che ieri ha dato segnali importanti, prendendosi responsabilità da vero leader nei momenti topici della partita. Adesso i ruoli sono chiari e definiti. Gli italiani sono tornati ad essere fondamentali, tanto che i minuti topici sono stati giocati con Brown in panchina. La presenza di Allen, sicuramente tossica al di là della prestazione di squadra di ieri, sembra aver liberato tutti da un peso enorme. Il suo addio ha responsabilizzato chi finora è stato colpevolmente in ombra. Gli alibi sono andati via, non c’è più alcuno dietro cui nascondersi ed è il momento che chi è stato preso in estate faccia vedere che vale quel contratto e quel ruolo all’interno della squadra.
Certo una rondine non fa primavera ed è impossibile sapere se si è trattata della classica prestazione d’orgoglio o di un nuovo inizio, questo non lo dirà neanche la partita di mercoledì contro Rimini, ma solo il tempo. La mancanza di playmaking resta un problema, lo si è visto anche ieri per larghi tratti, ma Bucchi adesso avrà il tempo per lavorare a soluzioni alternative che coinvolgano tutti e possano sopperire al fondamentale mancante. L’impressione, mai come ieri, è che la squadra lo segue e si sia stretta attorno ai suoi dettami e, solitamente, questo tende a essere qualcosa di positivo.