A2 - Sandro Dell'Agnello: 40' per riaprire un campionato. O fare i complimenti ad Udine

- Sandro Dell’Agnello, il pareggio non esiste, la sua RivieraBanca Rimini domenica gioca ad Udine per vincere. E riaprire il campionato di A2, salendo a -2 e col 2-0.
“Chiaro, ci vogliamo provare con tutte le nostre forze. Se vincono loro giustamente festeggeranno. Se vinciamo noi avremo ancora una speranza. Sappiamo bene due cose. La prima è la consapevolezza che sono primi e per questo molto forti: nello sport è il massimo stimolo che si può avere per batterli. La seconda è che siamo la squadra col migliore record di vittorie in trasferta”.
- Siete anche stati anche quelli per più giornate al primo posto in classifica, 27 turni. E questo ha abituato male più d'uno.
“Ricordo l’obiettivo dichiarato in estate: fare i playoff. Raggiunto a quattro turni dalla fine in un torneo di A2 incredibilmente livellato come questo. Poi succede che in tutto il girone di andata ne perdiamo una e così facendo siamo andati al di fuori dell’ordinario. Creando un’aspettativa sproporzionata rispetto al nostro valore”.
- Poi arriva febbraio, tre sconfitte consecutive di cui due in casa. E quindi il mondo social, una parte di esso va detto evitando l'omologazione, sentenzia “Rimini non vuole salire”.
“A febbraio sono accadute a Rimini le stesse situazioni che più o meno hanno toccato tutte le altre squadre: infortuni e momento di chiaro calo psico-fisico. Abbiamo perso lì il primato. Quindi si sentenzia “è crisi”. Invece la nostra stagione resta non buona, ma straordinaria”.
- Però uscite male anche dalla Coppa Italia, pesante -28 con Cividale e le sconfitte in fila diventano quattro. Lei dichiara: “Non siamo mai stati questi, quelli delle ultime settimane. C’è una causa ed un effetto, penso di aver individuato il problema. E lo risolvo”.
“E’ stato un messaggio di consapevolezza e di tranquillità, pure se è stato inteso al contrario. Fortunatamente sono in una Società che non vive di schizofrenia, abbiamo analizzato il momento non ottimale, ed ho spiegato che l’avrei risolto”.
- Cosa si nascondeva dietro quelle parole?
“Nulla di eclatante. Gli infortuni erano il motivo principale di quello scadimento di forma generale. A chi poteva giocare ho dovuto tirare il collo. Chi si è fermato, non si poteva allenare. Il gruppo è diventato clamorosamente disomogeneo. Qualcuno è andato in difficoltà, passando dal 40% al 15% da 3. Ai giornalisti di Rimini ho ricordato il Mr. Wolf di Pulp Fiction. Mi hanno portato un’auto sporca di sangue nel baule. Bene, si prende un secchio, acqua, una spugna e si pulisce”.
- A Bologna era il 14 marzo, Rimini in crisi ma pur sempre seconda in classifica a -4 da Udine. Come oggi.
“Il dato negativo ha sempre il sopravvento. La vera forbice è stata arrivare a quel -4 dopo essere stati primi a +6. Ma non è vero che Rimini non vuole salire in A. Né che non ha voluto intervenire sul mercato. Luca Conti è arrivato e ci darà una mano. Un altro preso a caso non avrebbe avuto alcun senso”.
- Appena un mese dopo ecco la striscia aperta 5-0, con in mezzo partite complesse a Rieti ed Avelino. E, passati sottotraccia, due viaggi non agevoli andata e ritorno, da 1700 chilometri in 6 giorni. Gare vinte con grande autorità. Ma, forse, innescate dalla vittoria con Pesaro, probabilmente anche per i vostri tifosi la sfida giusta al momento giusto per far ripartire la macchina.
“Lettura corretta. Perché se ne avessimo presi 15 quella sera ci saremmo dovuti sedere al tavolo e dire “ed ora cosa si fa?”. Invece da Pesaro in poi ne abbiamo giocate una più bella dell’altra, ed in appena quindici giorni”.
- Cosa è successo allora negli appena sette dalla pessima prova contro Cividale?
“Una settimana dura, da testa molto più bassa del solito. Orecchie comprese.Lavoro e silenzio. Palestra e video. La vittoria su Pesaro ci ha ridato un grande slancio”.
- Cos’ha Udine più di voi, oltre al +4?
“Sono stati i più continui. E' il vero merito. Ne hanno presi 20 a Livorno, ma il down è durato una partita. E' successo solo a loro”.
- Le statistiche: molto simili in tante voci, come racconta l’indice di valutazione. Di Udine è l’attacco più produttivo della A2, da 3 punti tirate meglio voi, loro lo usano di più. Udine va molto decisa al rimbalzo d’attacco e sono quelli che perdono meno palloni.
“Forse noi abbiamo più dimensioni in attacco, loro hanno una batteria di tiratori clamorosa e che in questo momento è in grande fiducia. E se sbagliano, tirano di nuovo. Nelle ultime gare viaggiano a 38 tentativi di media da 3 e 28 da 2”.
- Vi accomuna che in nessuna delle due avete giocatori da 30 minuti.
“Assieme a Cantù hanno il roster più lungo di tutte. Noi ruotavamo a nove, ora con Conti siamo saliti a dieci. Siamo profonde, ed in caso di situazione falli complessa o giornate storte, ci sappiamo autotutelare”.
- Anthony Hickey si ferma o si limita?
“E’ un razzo, difficile pure da limitare. Si può provare evitando che vada a spalmare la pericolosità diffusa, che sale a cinque potenziali tiratori da 3 quando i lunghi sono Da Ros e Johnson”.
- E se dovesse preparare una partita contro Rimini cosa dovrebbe fare?
“Non ve lo dirò mai”.
- Sul +6 avete pensato seriamente al primo posto? E non è che, quando avete smesso di farlo, ecco che è tornato matematicamente raggiungibile?
“Difficile dirlo. Quello che so è che nelle due-tre settimane di problemi, compresa la stanchezza, ci siamo di botto dimenticati di quanto di buono, molto, avevamo fatto fino a quel momento. E quindi dovevamo semplicemente tornare a fare noi stessi. A giocarcela”.
- Avrebbe firmato per essere a -4 dalla vetta o a +6 sulla terza?
“E' uno scherzo? Per tutte e due. Qui la decima-undicesima può vincere il campionato. Quando avremo le otto dei playoff inviterò a trovarne una più forte delle altre. O più debole”.
- La pressione domenica l’avrà solo Udine?
“Siamo onesti: per non salire serve un loro suicidio, a tre turni dalla fine. Per noi è necessario vincerle tutte e tre, a loro ne basta una”.
- “Rimini non ha nulla da perdere” è un concetto ambiguo e deviante: entrambe avete da vincere, e da perdere.
“Concordo. L'unico spartiacque è che se domenica perdiamo loro sono in A. Con merito e faremo i complimenti”.
- La seconda classificata, che sarà testa di serie numero 1, vivrà i playoff da delusa? Essere seconda è un obiettivo sfumato?
“Non vale per noi. Perché è da agosto che lavoriamo per l’obiettivo playoff ed il desiderio di arrivarci al meglio della condizione. Nessuna urgenza di promozione né smania di vincere subito. Quindi, nel caso, nessun contraccolpo. Forse poteva capitare ad Udine, Pesaro, Cantù, Brindisi. Quelle che erano state date per l’obiettivo della promozione diretta”.
- Ipotizziamo che lo scontro diretto non fosse risolutivo. Avrete poi un calendario simile, seguiranno due trasferte complesse con voi a Bologna e Udine che va a Pesaro. Poi la chiusura in casa, voi con Nardò, e la perfida Torino di questi tempi ospite al Carnera.
“Una alla volta: Ad Udine è gara da 1x2. Ok, togliamo l’X. Poi ne riparliamo”.
- Se all’obiettivo massimo dovessero mancare due punti, dove li ha persi Rimini? Su quella tripla di Redivo?
“Ho l’imbarazzo della scelta. Si è detto con Torino, ma chi ai tempi avrebbe immaginato che iniziava da noi una serie da otto vittorie consecutive? E non possiamo dimenticare che noi, a Piacenza, abbiamo vinto all’ultimo tiro”.
- È la sua miglior stagione da allenatore?
“E’ fantastica, anche perché mi trovo meravigliosamente con la Società e la città. Non nego qualche perplessità iniziale, oggi posso dire che se non fossi venuto avrei fatto il più grosso sbaglio della mia carriera. Quanto a ciò che ha preceduto, ho avuto tante stagioni buone, il primo posto a Forlì, il quarto con Bergamo con un budget irrisorio, forse l’unico ad entrare nella testa di Roderick ma al fianco aveva un Bryce Taylor altrettanto strepitoso”.
- Nel 2008 è stato allenatore dell’anno in Legadue per salvare una Livorno quasi retrocessa. Perché quello è un altro suo marchio, le imprese quasi impossibili.
“Sono molto orgoglioso delle mie salvezze, come a Pesaro con un budget ridottissimo per la Serie A e le due a Caserta in condizioni complesse. E resto sempre grato ai dirigenti che mi offrirono quelle possibilità, affrontate con grande coscienza e trasparenza di ciò che ci aspettava”.
- Dove sta andando la pallacanestro? E le piace?
“Sono d’accordo con Messina. Vent’anni fa si cercavano giocatori per costruire una squadra capace di difendere e correre in contropiede per cercare canestri facili. Ma le nuove generazioni scimmiottano l’NBA, che fino ai playoff reputo fasulla come il wrestling. Nessuno difende, nessuno aiuta. Oggi devi convivere dovendo apprezzare performance da due canestri consecutivi perché è a quel punto che i giocatori ti danno difesa. Una volta era il contrario”.
- Gora Camara è un centro tradizionale: quindi si può ancora utilizzare?
“Il centro lo sfrutti se hai buoni tiratori ed almeno due passatori che lo innescano. Dare la palla dentro ed aspettare l’uno contro uno del centro è materia finita. O hai Sabonis, oppure è palla persa, tra aiuti, raddoppi e flottaggi. Il centro che crea un vantaggio non esiste, a meno che non sappia essere pericoloso e poi capace di scaricare: il vantaggio a quel punto lo crea lui, dando un metro in più a chi tira col 40% da 3. Che rappresenta la prima opzione. Sia Camara che Johnson lo possono fare”.
- Chi la convinse ad allenare?
“Nessuno. Ero solo innamorato della pallacanestro, e ragionandoci mi trovai molto appassionato del piano tattico ma soprattutto gestionale di uno spogliatoio”.
- Come iniziò?
“Al Basket Livorno, appena smesso a 43 anni. Devo ringraziare quei tre o quattro che rifiutarono l’incarico da vice. A quel punto ero rimasto io. Allenava Walter De Raffaele, non lo conoscevo se non da avversario sul campo. Imparai molto”.
- Tempo fa, a specifica domanda sull’origine della prolifica scuola livornese di allenatori e pure arbitri ci disse “… perché a noi piace avere l’ultima parola”. Può rifinire il concetto?
“A Livorno siamo, di base, presuntuosi ed arroganti. E fin qui l’accezione è negativa. Però è un modo di vivere che ti porta a sostenerle con sostanza, altrimenti sei un bluff. E serve una altrettanto buona dose di personalità. Se non ce l’hai, non puoi allenare”.
- Della Nazionale del 1991, argento agli Europei a Roma, è uno dei pochi allenatori. Con lei ci hanno provato Gentile, Fantozzi, Brunamonti.
“Ai tempi non era così diffusa tra i giocatori l’idea di allenare. Semmai fare i dirigenti. Poi è altrettanto vero che di norma sono i playmaker a diventare allenatori”.
- Non a caso, di quell'ultima Jugoslavia che vi batté in finale, allenano ad alto livello Djordjevic e Perasovic (oggi a Kazan). Era una squadra pazzesca: Kukoč, Paspalj, Divac, Komazec, Radja, Savic ed un 21 enne Danilovic.
- “Ogni tanto mi chiedono se quella finale l’avremmo potuta vincere. Ma se le ali piccole titolari erano Kukoc da una parte e Dell’Agnello dall’altra… Se la rigiochiamo trenta volte ne prendiamo 30 tutte e trenta le volte…”.
- Di solito si chiede ad un allenatore dove possono migliorare le sue squadre. Io le chiedo: pensa di riuscire a migliorare nelle conferenze stampa post-sconfitta? O l’hashtag è #sonoquesto?
“Dopo una sconfitta sto malissimo. Non la digerisco e mi dura 24-48 ore. Da allenatore ancora peggio, perché penso alle cose che potevo fare e non ho fatto. E mi sento un coglione. Mi aiuta molto avere una moglie come Simona, capace di essere al mio fianco anche quando sa che deve starmi lontano…”.
Stefano Valenti
Area Comunicazione LNP