Auld Lang Syne per David Stern, il vero GOAT della pallacanestro

Auld Lang Syne per David Stern, il vero GOAT della pallacanestro
© foto di nba.com

(di FRANCESCO RIVANO). Guardo il calendario ed è già tempo di pensare ai regali natalizi, di bilanci per un anno corso sempre troppo in fretta, di aspettative per quello che porterà l’anno venturo. Ma soprattutto il fine anno è per me tempo d ricordi! E così, improvvisamente, vengo stretto in una morsa fra nostalgia e deferenza che mi riporta indietro di cinque anni. Il tutto con in testa una melodia. Provate a chiudere gli occhi per pochi secondi. Concentratevi e, se la conoscete, fatevi tornare alla memoria la poesia scozzese di Robert Burns che ha dato le parole alla musica di Davide Rizzio, compositore di Pancalieri, in Piemonte, vissuto nel XVI secolo. Se proprio non riuscite a rammentare quell’armonia dolce e malinconica rievocate le scene di alcuni film che hanno fatto breccia nel cuore di molti cinefili nelle ultime decadi: chi di voi non ricorda il suono dell’orchestra nella magnifica sala da ballo del Poseidon, prima che il transatlantico venga ribaltato dall’onda anomala; come dimenticare il trailer di Bravehart durante il quale, in un tripudio musicale consacrato dal suono celeberrimo delle cornamuse, il volto dipinto di William Wallace si appresta ad affrontare in battaglia l’acerrimo rivale inglese; non è possibile che non ricordiate la canzone intonata dai presenti nel locale in cui Tom “Forrest Gump” Hanks, tra festoni svolazzanti e urla di gioia, formula gli auguri di buon anno ad un mesto tenente Dan con lo sguardo perso nel vuoto. Auld Lang Syne è un vero e proprio inno alla memoria dei tempi andati, la canzone dell’addio per il movimento degli scout, il componimento per eccellenza che nei paesi anglosassoni celebra l’ultimo saluto all’anno appena trascorso e da il benvenuto al nuovo anno.

“For auld lang syne, my dear,
For auld lang syne
We'll drink a cup of kindness yet,
For auld lang syne”

È proprio quella che alle nostre latitudini è conosciuta come “Valzer delle Candele” a far da colonna sonora al ricordo di uno dei personaggi più influenti dello sport planetario. Sono passati esattamente cinque anni dal momento in cui, a seguito di un’emorragia cerebrale, David Stern si è scollegato da questo mondo abbandonandolo definitivamente nel giorno di capodanno dell’annus horribilis 2020. Che fosse stato un presagio? Sembrerebbe proprio di si visto quello è successo a Kobe e Gigi poco più di venti giorni dopo e quello che ha dovuto sopportare il mondo da Marzo in poi. Non era per David l’immobilismo tipico di chi subisce un danno cerebrale di quella portata. Adagiato inerme ed assente in un letto di ospedale, dopo aver fugacemente sentito il proprio cranio improvvisamente intriso di sangue. Aveva oramai perso il controllo definitivo del suo organo vitale principale. L’avvocato newyorkese discendente di una famiglia di origine ebraica, se conscio, avrebbe scelto lui stesso di porre fine alla sua esistenza una volta privato del suo più grande alleato: il cervello. Quel cervello che, dopo la laurea alla Rutgers University, lo ha portato a donare a noi tutti, nel modo in cui lo percepiamo oggidì, lo spettacolo incredibile, inventato dal Professor Naismith, nel quale omaccioni corpulenti si librano sopra liste di legno, nell’intento di infilare una palla color arancio dentro un cesto posto a 3,05 metri di altezza. Non è il caso di elencarvi i numeri e gli obiettivi raggiunti dall’avvocato Stern. Un escalation di idee e scelte vincenti che hanno portato la NBA sul tetto del mondo dopo averla presa per i capelli nel suo periodo più oscuro. Un trentennio dal 1984, anno della scelta al Draft di Michael Jordan e dell’ennesima sfida tra Celtics e Lakers, fino al 2014, quando ha deciso di lasciare le redini in mano all’attuale Commissioner Adam Silver. Un trentennio scandito da espansioni numeriche, finanziarie e geografiche che hanno reso la Lega il prodotto sportivo più riconoscibile in tutto il pianeta Terra. Quanti ragazzi hanno sognato di potergli stringere la mano e farsi consegnare il fatidico capellino nella sera del Draft; quanti campioni hanno bramato, e molti invano, di ricevere dalla sue mani il trofeo intitolato al suo predecessore Mr. Larry O’Brien. Quanti giocatori, (Allen Iverson in primis) lo hanno odiato, adeguandosi comunque al dress code da lui imposto. Giovani rampolli europei come Dirk Nowitzki e Tony Parker, o l’uomo da Bahia Blanca Manu Ginobili, devono la loro riconoscenza a Stern, come gliela devono Luka, Nikola e Giannis, perché senza la sua sagacia non sarebbero mai emersi nello scenario cestistico più luminoso. La città di Toronto e il Canada in generale, non avrebbe mai gioito per i Raptors campioni NBA se non fosse esistito l’acume espansionistico dell’ex Commish della Lega. Magic, Larry, Kareem, Hakeem, Isiah, Shaq, Kobe, Tim, LeBron; tutti campioni affermati e idolatrati che devono parecchio della loro fama e del loro conto in banca al marito di Dianne. Spesso, forse troppo, ci si interroga su chi sia The real Goat, the Greatest of all time. Una discussione stucchevole che alcune, troppe volte, si trasforma nella gazzarra fra ignoranti ubicati dietro ad una tastiera con le dita più prolifiche del cervello. Se solo ci fermassimo a pensare realmente al significato di quella capretta che accompagna milioni di dibattiti social, la risposta fluirebbe dalla nostra bocca, o dalle nostre dita, in automatico. Forse è vero che un grande talento è reso ancora migliore dal suo passaggio dalla vita terrena a quella spirituale. Forse è vero, come si usa spesso dire, che delle cose belle ci si rende conto solo quando di esse non si dispone più. Ma è sicuramente vero che The Real Goat della NBA è uno ed uno soltanto: come i più grandi della Lega affonda le sue radici nella Grande Mela e ancora oggi, a cinque anni dalla sua dipartita è riconosciuto e rispettato da chiunque pronunci il suo nome.
Grazie di tutto David Stern, anche dopo 5 lunghi anni.

“Ai vecchi bei tempi, mio caro
Ai vecchi bei tempi
Faremo un brindisi per ricordare con affetto.
i vecchi bei tempi”.

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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.