Mike D'Antoni: «Sarò sempre grato all'Olimpia. L'Italia resta una gioia, ho imparato tutto da voi»

20.04.2025 10:55 di  Iacopo De Santis   vedi letture
Fonte: LegaBasket Serie A
Mike D'Antoni: «Sarò sempre grato all'Olimpia. L'Italia resta una gioia, ho imparato tutto da voi»
© foto di Ciamillo

Intervistato da Giulia Arturi su “La Gazzetta dello Sport”, ha ricordato i tempi che lo hanno portato a scegliere di firmare con Milano: “La Nba era un sogno, ma lì la mia carriera non stava andando bene. Avevo anche pensato di lasciare la pallacanestro per sempre...» E poi? Lavoravo nel ristorante di famiglia a Myrtle Beach, Carolina del Sud. Ma mi dicevo: ci sarà qualcosa di meglio di questo! (ride). Mi chiamò Ricky Pagani, che lavorava per il presidente Bogoncelli, a Milano. Andai una settimana a Pasqua per vedere se la cosa faceva per me. Non giocavo da sei mesi, ero fuori forma, non mi aspettavo un'amichevole. Andò bene, mi offrirono due anni di contratto. Perché no, pensai: dovrò vivere in Italia, posso viaggiare gratis e mi pagano pure. Quando arrivai ero ancora immaturo, poi la mia vita è cambiata. Ho conosciuto tante persone che mi hanno arricchito, da Gilberto Benetton a Ottavio Missoni, che era un nostro grande tifoso. Un giorno trovammo 12 suoi maglioni nello spogliatoio. Wow! Dino Boselli, il nostro "fashionista", mi disse "Ma sai cos'è questo, no?"”.

D’Antoni ha anche ricordato il suo rapporto con Dino Meneghin: “Ah, io lo "odiavo" in campo: una volta mi ha scaraventato fra gli spettatori mente andavo in sottomano! Ma c'era rispetto. Quando Peterson mi diede la notizia, io ero felice: non dovevo più giocarci contro! Una grande persona, siamo diventati amici, e lo siamo tutt'ora. Vincere insieme è molto più importante che un'emozione di una partita giocata contro. In campo pensavo a distruggere sportivamente il mio avversario. Ma un tipo come Brunamonti, invece, era impossibile da odiare: era troppo gentile! Anche se ho provato a trovare dei motivi per farlo (risata)”.

E poi nel post-carriera, D’Antoni non pensava che sarebbe diventato allenatore? “Proprio no! Avevo 39 anni e mi sono detto: "Non so fare niente, non so lavorare, e adesso? ". Poi Gabetti e Cappellai! mi hanno fatto la proposta: sorpresa! Ho sempre cercato di essere onesto e autentico nell'allenare. Voglio mettere i miei giocatori nelle condizioni di potersi divertire e vincere, come è stato a Milano. Se mi aspettavo una carriera così? Per niente. Ho avuto tanta fortuna, ma anche la capacità di essere preparato. Io ho fatto di tutto per essere vincente, ma quella è solo una parte, senza gli altri, niente è possibile. In Italia avevo la fiducia dei giocatori, perché mi conoscevano. In America no, ma ho avuto la fortuna di trovare Steve Nash e altri giocatori che hanno capito la mia visione. Ma senza di loro, lì a Phoenix, probabilmente a quest'ora sarei ancora in Italia”