Esperienza o coraggio? La sfida di un cambiamento necessario

Intrappolato tra l'usato sicuro e l'incapacità di investire sui giovani, è il modo giusto di spendere le risorse a disposizione?
22.08.2024 17:47 di  Lorenzo Belli   vedi letture
Esperienza o coraggio? La sfida di un cambiamento necessario
© foto di Generata da IA

Nella stagione 2016/17, la LegaDue vedeva in campo rookie destinati a calcare i parquet della NBA, dell'EuroLeague e della Basketball Champions League. Oggi, nella stagione 2024/25, lo scenario è molto diverso. Tra i giocatori ai nastri di partenza non c’è nemmeno un talento americano alla prima esperienza pro. In compenso, 26 su 40 (il 65%) degli stranieri hanno già giocato nel Belpaese, e - anno del Signore 2024 - ci sono più americani nati negli anni '80 che in questo secolo. L’unica eccezione è Marcellus Earlington, classe 2000, ora in forza ad Avellino.

Il protezionismo italiano sembra essersi esteso anche agli stranieri, portando a una situazione paradossale: vengono preferiti import esperti ma "stagionati" rispetto a giovani talenti promettenti. Da professionisti, questi veterani vedono di buon occhio un lauto stipendio: anni di esperienza e “garanzia” si tramutano in decine di migliaia di dollari in più, anche se significa lasciare la massima serie francese o tedesca per una seconda divisione italiana. Questo è ancor più sorprendente se consideriamo che, nonostante l'introduzione di un terzo visto per sostituire giocatori infortunati o sotto-performanti, nessuno ha puntato su giovani scommesse. L’unico caso è il già citato Earlington, con una sola stagione alle spalle nella Winner League israeliana. 

In Germania, le società sono obbligate -pena la mancata iscrizione al campionato- a destinare una quota significativa (8-10%) del loro budget ai settori giovanili. In Italia, invece, 12 squadre tra LBA e LegaDue hanno scelto di non partecipare nemmeno al campionato di Eccellenza Under-19. Alcuni lamentano che i tedeschi abbiano maggiori risorse, ma è difficile dirlo, considerando che ogni anno molti giocatori americani migrano verso Sud attratti dagli euro offerti dalle società italiane, mentre le squadre tedesche si accontentano di reclutare giovani leve, con oltre 20 rookie ingaggiati. Quando ci si trova alle strette, si gioca la carta del "più alto livello di gioco italiano", ma poi scopri che i tedeschi nelle ultime due stagioni hanno vinto due competizioni europee (Telekom Bonn nella BCL 2023 e Niners Chemnitz nella Fiba Europe Cup 2024), mentre l’ultima gioia tricolore a livello continentale risale alla Dinamo Sassari, quando eravamo ancora ignari di virus e pandemia. 
Il problema non sembra essere tanto nelle risorse quanto in come vengono investite, oltre alla mancanza di idee e coraggio

Perché il termine di paragone è la Germania? Fare lo stesso con il movimento francese sarebbe impietoso, ma con la Germania il confronto è più interessante: quando vincevamo una medaglia d’argento olimpica, loro avevano solo Dirk Nowitzki e altri quattro. Oggi sono campioni del mondo e delusi da una medaglia di legno olimpica, mentre noi festeggiamo un ottavo posto al Mondiale (grazie a un sorteggio benevolo che ci ha fatto affrontare la testa di serie più debole: le Filippine) e ci accontentiamo di un pre-olimpico in cui non siamo nemmeno arrivati a giocarci la finale. Questo è stato vinto, tra l’altro, da una delle due peggiori squadre viste a Parigi, non certo da una potenziale medagliata. 

Se vogliamo davvero invertire la rotta, dobbiamo guardare ai tedeschi come esempio virtuoso, anche se questo significa accettare che ci vorranno anni per tornare ai livelli che desideriamo. Se, invece, preferiamo vivere di effimere soddisfazioni locali, possiamo seguire l’esempio turco (un altro esempio sarebbero i russi, ma sono fuori dai giochi per altri motivi): spendere risorse ingaggiando giocatori di nome, ma senza alcun beneficio per il movimento e disinteressandosi dei settori giovanili. Le rappresentative nazionali ringraziano.  
È facile fare della Federazione un capro espiatorio, ma la verità è che finché non saranno le società e i vari ambienti a cambiare rotta, non succederà nulla. Gli allenatori, e in seconda battuta i direttori sportivi, non vogliono giocatori inesperti perché sanno benissimo che il primo posto di lavoro a rischio è il loro. E così provano a tutelarsi come possono: usato sicuro, in alcuni casi usatissimo, ma con un curriculum invidiabile da presentare alla tifoseria durante la campagna abbonamenti. 

Sì, l’accusa di questo malsano sistema coinvolge tutti, e parlo anche di te, tifoso: faresti l’abbonamento se, invece di due americani con anni di esperienza europea ed highlights di alto livello, la tua squadra del cuore ingaggiasse due americani alla prima esperienza ma a un terzo del costo? E se il resto del budget venisse investito su allenatori professionisti per il settore giovanile, di cui non sapresti quasi nulla? 
Alcuni problemi, come quello delle infrastrutture, non sono risolvibili nell'immediato, ma un cambio generale nella volontà di avere una pallacanestro italiana diversa è qualcosa che si potrebbe provare, anche se faticosamente. È facile dare la colpa alla Federazione, ma la verità è che il destino del basket italiano è nelle mani delle società. È ora di guardarsi allo specchio e chiedersi: vogliamo davvero un cambiamento, o preferiamo continuare a nasconderci dietro le nostre scuse?