NBA MLK DAY - Chamberlain, Russell e quella fuga verso la Georgia

NBA MLK DAY - Chamberlain, Russell e quella fuga verso la Georgia

(di FRANCESCO RIVANO). Lunedì 20 è il terzo lunedì del mese di Gennaio e come ogni anno negli Stati Uniti d’America ricorre la festività nazionale per ricordare e onorare la memoria di Martin Luther King. Perché proprio il terzo lunedì del mese di Gennaio ? Il motivo è che il terzo lunedì del mese di Gennaio ricade in una data prossima al 15 Gennaio data in cui, nel lontano 1929 veniva alla luce ad Atlanta, Georgia, l’attivista più influente per i diritti civili della popolazione afroamericana. E quest’anno, come nel 1986, anno in cui venne ufficializzato per la prima volta il Martin Luther King Day, cade di Lunedì 20. Questa è una pagina di Basket e nonostante mi piacerebbe star qui a scrivere e motivare le cause che, dal 1968, anno della morte del reverendo King, al 1986 hanno fatto sì che passassero tanti anni dalla ufficializzazione di una commemorazione così importante, mi limiterò a scrivere come tale giorno sia importante e particolare anche sotto i canestri d’oltreoceano.

Lunedì prossimo infatti, così come accade dal 1986 la NBA commemorerà il pastore protestante King con magliette celebrative, spot pubblicitari e conferenze stampa ad effetto dei volti più noti della Lega. Anche il programma delle partite sarà ben nutrito con gare a orari decenti anche per chi, come me, a un certo orario abbandona ogni velleità di combattere contro la caduta naturale della palpebra. Così come per il Christmas Day, i statistici della NBA tengono in custodia ogni record registrato durante questa giornata particolare fra le 82 da disputarsi nell’arco i tutta la regular season, ma qui io voglio tornare indietro non a vedere cosa sia successo e cosa succederà nella Lega nei terzi lunedì del mese di Gennaio; qui io voglio raccontare cosa è successo nella NBA un giovedì del mese di Aprile di 57 anni fa.

“Early morning, April 4
shot rings out in the Memphis sky”

Contestualizziamo. Bono, front man degli U2 canta di uno sparo che risuona nel cielo di Memphis la mattina del 4 Aprile, ma Bono stesso sa che in realtà quel colpo è partito dal fucile impugnato da Earl Ray alle 18:01. E il Basket cosa c’entra? Siamo nel 1968 e i  Boston Celtics hanno in pugno la Lega avendo portato a casa nove degli ultimi undici titoli in palio. È la seconda stagione in cui Red Auerbach ha lasciato il timone della guida tecnica a Bill Russell e la prima non è andata poi così bene visto che i Philadelphia 76ers guidati da Wilt Chamberlain li hanno eliminati in finale di Conference per poi andare prendersi l’anello in finale contro i Warriors. La NBA di allora non aveva il calendario di oggidì e ad Aprile, i primi di Aprile, la stagione era già entrata nella fase calda, anzi caldissima. Quell’anno la Eastern Conference, dominata da i due centri che sono passati alla storia come tra i migliori All-Time, riproponeva la sfida tra Boston e Philadelphia con i Celtics che sembravano ormai aver perduto il tocco magico esorcizzati da Wilt The Stilt. Il programma prevedeva l’inizio delle Finali di Conference per il 5 di Aprile se nonché, la sera prima, sul balcone della camera 306 del Lorraine Motel, accade quella che ormai è diventata storia.

Giocare o non giocare? Quello era il dilemma. Se lo chiedevano senza teschio in mano un angosciato Bill Russell e uno spaesato Wilt Chamberlain. Il primo era diventato un’icona dello sport afroamericano: succube di tanti episodi violenti a sfondo razziale, sia verbalmente che fisicamente, si era eretto a paladino dei diritti civili dei fratelli neri diventando il primo allenatore di colore, pur continuando a giocare, di una franchigia NBA. Il secondo più attento ai suoi diritti di potersi godere la vita che a quelli del prossimo era pur sempre un ragazzo di colore negli Stati Uniti d’America degli anni ’60 e sapeva quanto quell’evento fosse tracciante nel percorso sociale e politico che stava affrontando il Paese.

“The show must go on” avrebbe recitato qualche anno dopo un nativo dello Zanzibar che all’epoca dei fatti era poco più che un vent’enne. La Lega non poteva permettersi, o forse non voleva permettere che, la morte di un personaggio si di rilievo, ma pur sempre dalla parte dei più deboli, privasse il grande pubblico, dell’evento cestistico che aspettava da un anno intero. Celtics e Sixers quel 5 Aprile scesero in campo e a nulla valse il tentativo de due Leader di convincere i compagni che, un boicottaggio quel giorno avrebbe fatto più clamore dei 25 rimbalzi di Wilt o della vittoria di Bill. Non ne ebbero il coraggio, ma Wilt e Bill ebbero il coraggio di abbandonare in fretta e furia l’Arena nel post partita per raggiungere la Georgia. Complice la decisione di Lyndon Johnson di imporre il lutto nazionale e dirottare Gara 2, i due antagonisti sportivi riuscirono a trovarsi una volta tanto fianco a fianco, accompagnando il Reverendo King verso la casa del Padre sulle note di una memorabile Aretha Franklyn. Come finì quella serie? Vinsero i Celtics! Come finì quella stagione? Vinsero i Celtics!!

E rieccoci ai giorni nostri. 57 anni dopo si scende in campo in memoria di Martin Luther King ogni terzo lunedì del mese di Gennaio perché è giusto ricordare, omaggiare, non seppellire assieme ad un corpo degli ideali di tale rilevanza. La domanda è lecita: ad oggi si sarebbe giocata quella partita fra Celtics e Sixers? Con tutta l’esperienza che abbiamo accumulato negli anni avremmo oggi fatto lo stesse scelte e messo uno sport davanti al rispetto di una figura di tale rilievo? La risposta dovrebbe essere che NO, quella partita NON si sarebbe dovuta giocare per rispetto di una persona assassinata brutalmente, di una famiglia privata della sua guida e di un gregge che aveva appena perso il suo pastore. Ma poi ci penso e mi chiedo: siamo sicuri che l’uomo sia in grado di imparare dai suoi errori? Mi piacerebbe rivolgere questa domanda ai genitori dei bambini morti assiderati a Gaza, o ai civili bombardati in Siria, o alle vittime russe ed ucraine, insomma a chiunque, a distanza di secoli deve subire ancora il terrore di un guerra. E allora i dubbi mi vengono e anche forti e quindi penso che forse, anzi sicuramente, in nome di interessi molto più alti del valore umano anche oggi quella partita si sarebbe giocata e il pubblico ne avrebbe goduto, come fecero i 14.412 spettatori presenti a Philadelphia in quel 5 Aprile del 1968, giorno in cui furono capaci di mettere in secondo piano, dietro a un canestro di Wilt e a un rimbalzo di Bill, un evento tragico come l’assassino di Martin Luther King.
“I have a dream”.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.