I 60 anni di Pierluigi Marzorati sono quasi un terzo ritorno in campo...

(Enrico Campana) - In quel di Figino Serenza, distretto del famoso mobile canturino, nasceva il 12 settembre Pierluigi Marzorati, il giocatore che nella scala del successo è fra i primissimi, non dico che è meglio Superdino, lui, Riminucci, Carlton, è certo che un premio di avere un giocatore tanto virtuoso, un’eccellenza, se lo meritava bene una cittadina come Cantù. Un grande laboratorio il Kantucky che ha visto passare nella sua grande famiglia, quella degli Allievi che poi ha trasferito il suo know-how ai Polti, i Corrado, e da ultimo alla lady milanese Cremascoli, grandi giocatori e grandi persone, dagli idoli locali (l’Afredo Broggi e Tonino Frigerio) agli importati, come il milanes Recalcati, l’argentino De Simome, l’ingegner Merlati (il barba..), Giancarlo Sarti, e che dire di menti come Tracuzzi, Corsolini, Antonio Diaz Miguel, Valerio Bianchini e il padre-padrone del basket e della FIBA del primo boom, Bora Stankovic cui si deve il primo scudetto, e la sua eredità portata avanti splendidamente da Arnaldo Taurisano che ha fatto tutto con successo, peccato non abbia mai pensato a candidarsi alla presidenza Fip. Un traguardo al quale potrebbe ambire anche Pierluigi Marzorati, perché è presidente regionale lombardo del CONI, non fa pesare il suo credito e i voti della balena bianca e magari potrebbe venire d’attualità, come altri sport-man eccellenti, parlo di Toto Bulgheroni, lo stesso Merlati, qualora Mario Monti consegni quella riforma del CONI che sembrava scontata con la fiducia accordata in veste di Ministro con delega allo sport al bolognese Piero Gnudi che desidererebbe l’araldica di uno sport più sociale e meno problematico come il professionismo-spaghetti.
Marzorati appartiene alla sua bella famiglia che ho conosciuto, apparentatasi a quella mitica dei miei cari Allievi, fa parte dell’araldica del nostro sport, mezzi atletici eccezionali, avrebbe potuto vincere un’Olimpiade nel salto in alto, se solo avesse voluto cimentarsi nel fosbury, non starò a elencare i titoli e i premi, la prestigiosa Hall of Fame. A 60 anni non è ancora un uomo del passato, ne aveva 54 quando provò a tornare per giocare la seconda partita dell’addio. Magari progetta anche la terza, per mandare un messaggio positivo, quello che lo sport etico è salute fisica e mentale, confronto, e come dice lui tagliando i sessanta con qualche capello bianco, ma con una testa riccioluta che simboleggiano tante idee, “60 anni vissuti attraverso lo sport hanno lasciato un segno indelebile”.
Quando scrivevo per la Gazzetta dello Sport, un giorno mi inventai che era un angelo caduto dal cielo. Retorica, uno dice, retorica da giornalista sportivo. Poi sono inviato alla finale di Coppa dei Campioni, nell’ultimo allenamento si storce la caviglia, addio finale. Il giorno dopo era miracolosamente in campo, e coi suoi voli d’angelo dentro le difese portò una delle sue due Coppe dei Campioni. Per la verità, scoprii dopo che sulla caviglia aveva lavorato Jan pierre Meerssemann, il guru della chiropratica perché oltre ad avere la meglio gioventù, essere il club dei canestri e fioretti aveva ancora un cenacolo di illustri medici, meglio anche di quelli del Milan e dell’Inter e della nazionale azzurra.
Per la cronaca, Marzorati compie gli anni il giorno della scoperta dell’America. Come giocatore, difatti, era il prototipo del play intelligentone americano…
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