Olimpia, Diego Garavaglia: «Non devo stare ad ascoltare troppo quello che si dice e pensare al mio percorso»

Aveva provato con il nuoto. E con il calcio. Anche con la pallavolo. La mamma Claudia insisteva perché praticasse uno sport e lo praticasse seriamente. Ma la scintilla non scoccava. Arrivò al basket perché non erano rimaste alternative. La sua prima squadra, la Virtus Cornaredo, era quella di casa sua. E lì, a Cornaredo, la scintilla scoccò. Diego sul campo di basket finalmente si divertiva. Poi Paolo, il padre, decise di iscriverlo ad una delle Leve di minibasket, al Lido, perché magari l’Olimpia sarebbe stata interessata a lui, a quel bambino con il sorriso stampato sul volto, il fisico di chi è destinato a crescere e saltare.
Solo che ci fu un disguido. Diego Garavaglia si presentò con una settimana di ritardo. Lo fecero provare lo stesso. “Non sapevo che saremmo andati a provare per la Mini Olimpia, mio padre neppure me lo disse. Invece mi trovai lì, in quel tendone passato alla storia, vidi i ragazzi grandi che si allenavano, il coach era Paolo Galbiati. Fu un’emozione indescrivibile”, ricorda. E da quel momento non se n’è più andato. “Sono orgoglioso di essere partito dal minibasket, tre anni, per fare tutta la trafila, lo sono perché in questo percorso mi hanno accompagnato tante persone che sono state con me fin dal primo giorno, fin da quando pensavo che sarebbe stata una bella esperienza, che giocare nell’Olimpia avrebbe portato a qualcosa di buono. Ma certo non mi sarei mai aspettato nulla di quanto è accaduto. Ora quelle persone vedono i progressi, che io e altri miei compagni di squadra stiamo facendo. Viverla così è meraviglioso, chi mi ha cresciuto è orgoglioso”.
Diego Garavaglia è una delle grandi promesse del basket italiano. Non ha ancora compiuto 18 anni, ma ha debuttato in prima squadra, è andato in panchina in EuroLeague, ha già vinto tanto con l’Olimpia e in un mondo che brucia momenti, percorsi, esperienze, lui ha già vissuto una carriera quasi senza accorgersene. Gioca nelle giovanili, ma è conosciuto, seguito, scrutinato. Mantenere i piedi per terra, non guardare troppo avanti, non sentirsi per nulla arrivato: questo è il suo compito ogni mattina. “All’inizio ricevere attenzione mi ha fatto piacere, ma non devo stare ad ascoltare troppo quello che si dice e pensare al mio percorso, restare concentrato, e fare quello che ho sempre fatto”.
Ma Diego è sulla strada giusta. Lo sa anche lui, ne è consapevole. “Ho pensato che sarei potuto diventare un giocatore quando sono stato convocato con la prima Nazionale, a livello Under 15, nello stesso anno in cui abbiamo vinto lo scudetto. Ho giocato bene e da lì Coach Beppe Mangone mi ha inserito nel roster della Nazionale Under16 per gli Europei di categoria. Ero l’unico 2007 in squadra. Ho pensato di essere sulla strada giusta, ho pensato che potessi farcela”, dice.
Il debutto azzurro da Under 15 fu al Torneo dell’Amicizia: segnò 23 punti contro la Grecia in una gara in cui il “Gemello” Achille Lonati ne segnò 17. Arrivò poi lo scudettino con l’Olimpia battendo in finale Trento, “ma è stata la mia prima finale e avevo tanta tensione dentro, eravamo favoriti e non volevamo rovinare tutto”. Non lo fecero: segnò 14 punti, Lonati ne aggiunse 19. Fu il primo scudetto. “Io e Achille siamo cresciuti insieme, ci troviamo ad occhi chiusi, tra noi c’è un feeling particolare. Ma è così anche con altri, anche con Suigo: alla fine siamo sempre tutti insieme, partite, esperienze, viaggi, allenamenti”, racconta.
Garavaglia ha già giocato otto finali “serie” nella sua carriera appena cominciata. Ha vinto la finale Under 15 del 2022, la finale Under 19 del 2024, ha perso la finale Under 17 del 2023, ha vinto le due finali della Next Gen Cup italiana, ha perso quella di Belgrado, ha perso le due finali giocate con la Nazionale, a livello europeo Under 16 e ai Mondiali Under 17 dell’estate scorsa. “Contro gli USA sapevamo che avremmo avuto poche chance perché erano ingiocabili e l’approccio era quello di proviamoci e vediamo cosa succede, se facciamo il miracolo. Ma agli Europei contro la Spagna volevamo e potevamo vincere. Sapevamo di essere sullo stesso piano dei nostri avversari. Quella è una finale che ricordo per la tensione della vigilia, l’ansia, ed è una sconfitta che ancora non riesco a digerire. Forse ci è mancato Achille che fino a quel momento era stato importante”. Si infortunò in semifinale e non giocò con la Spagna. Ad oggi hanno giocato insieme tutte le finali tranne quella perché Lonati era in panchina inutilizzabile.
“Lock-down defender”, è la definizione che ha dato di lui John Hollinger, giornalista di The Athletic dopo averlo visto al Basketball Without Borders di San Francisco. Raramente, un ragazzo così giovane si fa notare per le qualità difensive. “E’ un aspetto del gioco che mi ha sempre attratto: tutto nasce dalla difesa. Lo dice sempre il mio allenatore, Coach Catalani. Lui vuole che prima di tutto si difenda. Poi ricordo ancora quando ero sotto età nella Nazionale Under 16. Capii che difendendo riuscivo a stare in campo. Allora mi sono detto che, se intanto difendi, il tuo spazio lo trovi ovunque. E’ nata lì la mia passione per la difesa”, spiega. Non a caso, il suo giocatore preferito non è uno dei soliti noti. No, Garavaglia indica l’ala dell’Olympiacos, Kostas Papanikolau: “Non ha tutte queste qualità naturali, non è dotato come un Vezenkov, ma riesce a stare in campo ed è determinante con attacco, difesa, mentalità, fa sempre il suo lavoro. Questi sono i giocatori che mi piacciono di più, quelli che a prescindere da quanto talento abbiano si impongono con la loro determinazione”, dice.
Prima di vincere la Next Gen Cup di Brescia, Garavaglia era stato a San Francisco insieme ai migliori Under 18 del mondo. È stato un incontro ravvicinato, il primo, con il mondo NBA. “C’erano tutti i giocatori più forti, i più bravi, alcuni anche strutturati fisicamente, enormi, giocatori già fatti. Per quello è stata un’esperienza eccezionale, mi ha obbligato a misurarmi con un livello straordinariamente alto. Con un pizzico di orgoglio posso dire che me la sono cavata, che sono stato competitivo. Una cosa che faccio sempre è essere intenso, dare tutto, correre, e questo mi ha premiato”.