LBA - Olimpia, Kaleb Tarczewski "Gli Usa aspettino io resto a Milano"

Il centro dell'Olimpia Milano Kaleb Tarczewski scrive di pugno un articolo per il Corriere della Sera in cui racconta della vita di un atleta al tempo dell'epidemia del Coronavirus in modo molto accorto e sensibile. Ecco alcuni passaggi.
Famiglia. Quando il virus è esploso a Milano, ho pensato subito alla mia famiglia negli Stati Uniti. Tutti ci sentiamo più a nostro agio a casa, sarebbe bello essere con loro in questi giorni, con i miei familiari, è un fatto psicologico. Ma ho sempre saputo di far parte di una famiglia anche qui a Milano e non la lascerei mai perché ha bisogno di me. Solo se la stagione venisse cancellata definitivamente penserei ad andarmene.
Thompkins. Spero che Trey Thompkins, il giocatore del Real positivo, e tutti per la verità, abbia un recupero veloce. In un certo senso mi sento vicino a lui, perché è un giocatore e c'è sempre un senso di appartenenza che ci unisce: quando uno di noi è colpito, tutti ci sentiamo colpiti. Quando mi hanno trasmesso la notizia, sono rimasto un po' disorientato.
Dovere. Mi piace stare all'aria aperta e il pensiero di stare chiuso in casa per settimane mi ha devastato. Ma la quarantena non era per proteggere me stesso, era per proteggere gli altri. Questo senso del dovere ha reso la quarantena più facile da gestire.
Virus. Questo virus ci ha fatto realizzare quanto siamo fragili, quanto sia fragile la vita e che non dovremmo mai dare per scontato quello che abbiamo. In sintesi, dovremmo cercare di vivere la nostra vita, felici di noi stessi e delle persone che ci stanno attorno.
Stagione. In questo momento la nostra stagione sembra un libro senza fine. Tutti nella nostra società si sono impegnati per alcuni obiettivi e sarebbe bello scrivere la parola fine a questo libro. Stare lontano dal basket mi ha fatto capire quanto ami il gioco e quanto mi manchi. Sinceramente non vedo l'ora di tornare e proseguire il viaggio. Significherebbe che questo incubo è finalmente finito