L'EuroLeague perduta: Milano è un ossimoro...
(di Werther Pedrazzi). Sarebbe stato meglio, forse più giusto? Se avessero battuto l’Efes e conquistato i playoff. Sarebbe stato, anche, più bello, perché avremmo, almeno un’altra volta, rivisto a Milano la pattuglia tricolore (Gherardini, Datome, Melli) del Fenerbahçe.
Invece. Non è.
Ma perché?
Perché Milano, nel basket, è un ossimoro!
Il concetto che contiene all’interno anche il proprio contrario.
Il miglior attacco di Eurolega (2.601 punti segnati), davanti al Cska (2.590).
La peggior difesa (2.600 subiti), dietro anche al Buducnost (2.550) e Gran Canaria (2.532, al netto della partita di venerdì).
L’attacco è l’estetica. Lo puoi organizzare, l’attacco, adeguatamente canalizzarlo, ma il talento individuale non lo puoi insegnare. E di talento individuale Milano ne aveva più di un po’…
La difesa è l’etica. Il sacrificio, la responsabilità, la dedizione e applicazione, la puoi, si deve, pretendere.
A Milano è mancata una sola vittoria. Ha avuto a disposizione tre match ball: in casa contro Panathinikos e Fenerbahçe, ad Istanbul contro l’Efes. Li ha bruciati subendo rispettivamente 95 punti (Pana), 104 (Fener) e 101 (Efes).
Di cosa dobbiamo parlare?
Del Tempo. E’ il tempo, infatti, che ha giocato contro Milano. Partita benissimo (6 vittorie su 8 gare), progressivamente si è andata deteriorando. Mentre la concorrenza andava organizzandosi e crescendo nello sviluppo di squadra, Milano è rimasta sempre uguale: tiro da 3, pick&roll e poca difesa. Significa che il tempo a disposizione non è stato usato per un’adeguata evoluzione (tecnico-tattica) della squadra. Milano sempre, burocraticamente, uguale: difesa inversamente proporzionale all’attacco. O viceversa. Anche invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia: quante volte Milano ha perso anche segnando più di 90 punti? E che difesa può mai essere quella che subisce un parziale di 23-5 (da 48-61 a 71-66), senza riuscire a fermare l’emorragia, come è capitato nel terzo quarto della gara decisiva contro l’Efes? Come è nata Milano, così è morta. Nel mezzo del cammino, poco o niente.
Toccava all’allenatore? Ovviamente…
La società mette a disposizione il potenziale e il coach ha l’incarico di svilupparlo. Della (mancata) evoluzione abbiamo già detto…
Vorremmo permetterci soltanto parlare di alcune (mancate?) letture. Personalissime, e forse opinabili, interpretazioni.
Partendo da Jeff Brooks, ad esempio. Un giocatore, che magari partiva in quintetto, ma poi confuso e ridotto a “giocatore di rotazione”. Senza coglierne il reale potenziale. Per attitudine e qualità difensiva, per la parsimonia offensiva, che non significa scarsa incidenza ma disponibilità verso i compagni, e le conseguenti efficaci letture del gioco, Brooks poteva/doveva essere un fulcro/collante della squadra. Lui e il professor Micov in mezzo al campo, insieme? si, insieme, a definire quel ruolo di vera regia ed equilibrio che è proprio del basket moderno. Per metterla giù piatta: il ruolo (strutturale) che ricopre Nicolò Melli nel Fenerbahace… Qualcuno ha visto o letto in questa direzione?
E Andrea Cinciarini? Dimenticato. Qualcuno si è ricordato che, magari, il pre-requisito di un playmaker è quello di affaticare l’avanzamento di palla e togliere un poco di lucidità al regista avversario? Non si poteva individuare nel Cincia la funzione di “stimolo” ed esempio difensivo per il supremo Mike James?
Oppure, sempre parlando di letture (e fantasia). Arriva il Fenerbahce, capoclasse, si può perdere… Magari anche no. Se arrivano i turchi con il secondo quintetto, bonificandoti Sloukas, Vesely e Lauvergne… Invece? Massacrati dal post basso di Nikola Kalinic… Nel qual caso, sempre parlando dei desaparecidos, mettergli contro Chris Burns, che è più alto e sicuramente più abituato alla dimensione di post basso, e che, presumibilmente avrebbe avuto contro Kalinic qualche vantaggio una volta in attacco, sarebbe state idea così peregrina e impraticabile? Ecco, trovare un ruolo per ciascun giocatore, magari anche limitato nel minutaggio, ma significativo nel contesto, è il metodo basilare per costruire una squadra. Pensate che questo sia stato fatto a Milano?
Toccava alla Società? Certamente…
Quando Mike James durante un minuto di sospensione si va a sedere a mezzo chilometro dalla squadra, ci sono le foto, che significa? Che ti importa meno di niente di quello che sta dicendo il tuo allenatore e dei tuoi compagni? O quando, ugualmente, te ne torni in campo con aria insofferente mentre l’allenatore sta ancora parlando? Tralasciando twitter e dintorni, dove sfumano i confini tra obblighi professionali e libertà individuale…
Toccava alla società chiamarlo a rapporto…
Amico caro, amico bello, un domandina facile facile: noi abbiamo “acquistato” il tuo talento (immenso) per metterlo a disposizione della squadra, o per mettere la squadra a disposizione del tuo (immenso) talento? Secondo te??? Non sappiamo, magari il discorsetto è stato anche fatto, ma gli esiti non sembrano confermarlo. Comunque sia… E’ vero che il basket è poesia in movimento, e come non esaltarsi ai buzzer beater allo scadere di Mike James, ma è altrettanto vero che il basket è anche algebra spietata, e alla fine a decidere tra +/- è sempre la differenza tra quanti ne fai e quanti ne prendi. Limitandoci agli ultimi tre match ball sprecati da Milano, per verificare l’efficienza difensiva di Mister James… Citofonare Calathes, Dixon, Guler e Larkin… Con l’aggravante che James dimostra in attacco quella reattività ed atletismo che non applica in difesa. E poiché siamo in argomento… Kaleb Tarczewski, che falli ingenui che commette? La metà dateli pure in carico a James, che non filtra, non tiene la diga e al povero Tarcisio arriva addosso l’ondata. Stiamo discutendo il talento (immenso) di Mike James? No. Assolutamente. Altrettanto esplicitamente attribuiamo responsabilità a chi non ha saputo, o voluto, rendere quel talento il più funzionale possibile alla squadra. Perché un giocatore tira o entra quando gli tocca, e un campione tira o entra quando i compagni non ce la fanno. Mai quando gli pare e piace. Infine. Per chi si accontenta. Una volta esistevano dei principi. Tra i tanti (oggi dimenticati) c’era quello che definiva il valore dell’allenatore in relazione all’incremento di valore che sapeva attribuire ai singoli e all’insieme di squadra durante il corso della stagione. E un altro principio che diceva: se hai il capocannoniere ma la squadra arriva da metà classifica in giù, sei una squadra “provinciale”. Cosa che non può essere accettabile per Milano.
E così. Lo Zalgiris Kaunas (13° budget) del nuovo principino del Baltico, Sarunas Jasikevicius, ha fregato l’ottavo posto e i playoff a Milano (4° budget). Lo Zalgiris che rispetto alla passata stagione ha perso 3/5 del quintetto base (Pangos, Micic e Toupane) ma è rimasto una squadra, estremamente motivata e severamente allenata. Giusto così. Perché lo Zalgiris è l’esatto contrario di Milano.
Werther Pedrazzi