Sud Sudan story, è solo l'inizio: da 0 alle Olimpiadi in 10 anni | Mondiali

Sud Sudan story, è solo l'inizio: da 0 alle Olimpiadi in 10 anni | Mondiali
© foto di FIBA

(di Davide Colotti). 
2002. Le prime conversioni da dieci milalire a cinque euro. Bush e Putin firmano un trattato sulla riduzione delle armi nucleari. Altri tempi, ma con qualcosa di attuale. In estate una nazionale africana esordiente ai mondiali, costituita perlopiù da ragazzi cresciuti all'estero in cerca di una vita migliore, conquista le cronache sportive e l'affetto di milioni di tifosi neutrali. È il Sud Sudan? No, il Senegal calcistico, che si spinge fino ai quarti di finale mentre le periferie si punteggiano di magliette bianche di El-Hadji Diouf. Diverso sport e tinte opposte rispetto al nero delle Bright Stars sud-sudanesi, ma stesso entusiasmo per una nazionale esordiente adottata come "seconda squadra" da tanti appassionati in tutto il mondo, con un ruolo cruciale nella definizione dell'identità del proprio popolo.
2002. No, non poteva essere il Sud Sudan, progetto politico ancora ben di là dal realizzarsi, che proprio quell'estate metteva i primi germogli con una tregua dopo i 19 anni di conflitto della seconda guerra civile sudanese. L'indipendenza da Khartoum sarebbe arrivata solo nel 2011, pochi mesi prima che il suo figlio sportivo più influente, Luol Deng, fosse scelto per l'NBA All Star Game. Sud-sudanese prima del Sud Sudan, come milioni di sfollati Deng è dovuto fuggire dalla terra natia e riparare prima in Egitto e poi in Inghilterra, delle cui nazionali giovanili faceva parte in quell'estate 2002 pur senza averne ancora la cittadinanza. Dieci anni dopo, nel 2012, Luol Deng è alle Olimpiadi di Londra da leader della selezione del Regno Unito, di cui è il più importante cestista di sempre. Soltanto l'anno successivo, nel 2013, il Sud Sudan si sarebbe affiliato alla FIBA. Passano altri dieci anni, ed ecco che, da presidente della federazione, Deng è il cuore, il motore e l'artefice principale della scalata delle Bright Stars alle Olimpiadi grazie a un gran mondiale.

Miracolo Sud Sudan? Dal punto di vista sociale e geopolitico, sicuramente sì: la nazionale più giovane del mondo ridisegna gli equilibri cestistici africani alla sua prima apparizione mondiale e fa da collante per una terra martoriata da decenni di guerre civili che hanno prodotto genocidi, bambini soldato e generazioni di rifugiati prima e dopo l'indipendenza. Dal punto di vista sportivo, non ingannino i gradi di debuttanti e il penultimo posto (davanti soltanto a Capo Verde) nel ranking FIBA tra le partecipanti al mondiale asiatico: il Sud Sudan è una squadra in ascesa, che ha dominato le qualificazioni e che può contare su un bacino di talenti di ottimo livello, spesso sviluppati nelle terre di migrazione. Tante, nel roster sud-sudanese, le storie di ragazzi nati o vissuti in campi profughi, cui poi la vita e la pallacanestro hanno offerto una nuova chance, e bravo Luol Deng a recuperare i talenti di origine sud-sudanese sparsi per il mondo e a sviluppare il loro desiderio di competere al più alto livello possibile difendendo i colori di una nazione che, solo con il basket, sembra dimenticare le divisioni interne. Dal Canada, dove è cresciuto, ecco Marial Shayok. Dagli USA tasselli cruciali come Wenyen Gabriel e Nuni Omot. E poi la folta pattuglia "australiana" con Dech, Kuany, Acuoth, Madut e Mathiang. Altrettanto brave le Bright Stars a spendere il passaporto per ciò che mancava, una point guard di livello: Carlik Jones da Cincinnati, una vita in G League e 24 punti totali in 12 partite NBA con tre franchigie diverse, tra cui proprio i Chicago Bulls dove Luol Deng divenne una All Star. Con 20,4 punti e 10,4 assist di media in 5 gare, Jones è l'uomo copertina del Sud Sudan ai mondiali. I suoi 15 assist (con 26 punti e 7 rimbalzi) nella vittoria contro l'Angola che è valsa le Olimpiadi pareggiano una prestazione che, in FIBA World Cup, era riuscita solo a un certo Toni Kukoč.

Vittoria, una parola ricorrente nel percorso sud-sudanese. Nelle qualificazioni, con un record di 11-1 giocando in trasferta anche le partite casalinghe per mancanza di un'arena omologata nel Paese. E poi ai mondiali, chiusi con 3 successi in 5 gare, 2 su 2 nel gironcino per definire le classificate dal 17esimo al 32esimo posto, concluso in testa e con in tasca un pass per Parigi da migliore africana. Un trionfo, uno dei momenti più lieti nella breve e insanguinata storia nazionale. Ma, sportivamente parlando, il Sud Sudan non è un miracolo, è una solida realtà, e quell'overtime perso nel gruppo B con Porto Rico dopo un vantaggio di 12 punti all'inizio del terzo periodo rappresenta il rammarico della mancata qualificazione al gironcino per i quarti di finale.
Miracolo "ni", abbiamo detto. Una favola, quella del Sud Sudan? Le favole propriamente dette sono quelle di Fedro, di Esopo, di La Fontaine. La volpe e l'uva, il lupo e l'agnello, il topo di città e il topo di campagna, per intenderci. Linguisticamente parlando, meglio fiaba.  

E adesso, dopo il lieto fine, cosa c'è? Giusto il tempo di smaltire le meritate celebrazioni e il focus si sposta su Parigi 2024. Il biglietto è già in tasca, non resta che sperare in maggior fortuna tra dodici mesi: a questi mondiali sono mancati due importanti tasselli made in Australia, il lungo attaccante Jo Lual-Acuil e lo swingman specialista difensivo Bul Kuol, visto anche in Francia. Di sicuro le Bright Stars avranno dalla loro maggiore esperienza e consapevolezza, così come l'astro nascente Khaman Maluach avrà un anno di basket in più sulle spalle.