Celtic Pride: Stevens e Mazzulla realizzano un capolavoro per scrivere 18

Celtic Pride: Stevens e Mazzulla realizzano un capolavoro per scrivere 18

(di FRANCESCO RIVANO). Eccoci arrivati al capolinea della stagione 2023/2024 che sancisce la vittoria di una delle due grandi favorite di inizio stagione. Eh sì, perché se a Est i Celtics erano i candidati numero uno a rappresentare alle Finals la costa orientale, se ci avessero fatto scommettere ad ottobre, per la costa occidentale avremmo scelto quasi all’unanimità Jokic e i suoi Denver Nuggets. E invece fra la finale immaginata a inizio anno e la finale di Giugno, che è quella che conta, si sono messi in mezzo i Timberwolves che hanno sorprendentemente eliminato gli ormai ex campioni in carica prima di arrendersi alla cavalcata vincente nella Western Conference di Doncic, Irving e compagnia. Certo che avremmo voluto vivere delle Finals un po’ più lunghe, leggermente più combattute, ma la differenza tra Boston e Dallas è apparsa piuttosto evidente se si esclude la scampagnata che i ragazzi di Mazzulla hanno fatto all’American Airlines Center in Gara 4.

Stanotte la musica era di tutt’altro tipo. Il TD Garden era la solita santabarbara pronta a esplodere ad ogni canestro dei C’s e poco è durata la competizione che ha visto sancire la fine definitiva della contesa sulla tripla da metà campo dello specializzato Payton Pritchard. A Dallas vanno enormi complimenti per il lavoro egregio svolto durante la fine della regular e tutti i playoffs, per la capacità di impastare due personalità accentratrici come quella di Magic Luka e di Oncle Drew al secolo Kyrie Irving, ottenendo ottimi risultati, Finals escluse, dai comprimari come P.J Washington, Daniel Gafford, Derek Lively, Derrick Jones Junior e via dicendo che le Finals e i playoffs in generale, fino all’anno scorso, avevano vissuto marginalmente se non proprio mai viste in vita loro. Da lì però a completare l’opera contro la squadra più squadra della Lega, contro l’organizzazione più organizzata della Lega, il passo è lungo, anzi lunghissimo e l’amalgama, il sistema di gioco, le idee chiare dei ragazzi in maglia verde hanno praticamente infranto fin da subito i sogni di gloria dei Mavs. Joe Mazzulla, 35 anni, è diventato il più giovane coach di sempre a fregiarsi di un titolo di campione Nba dai tempi di Bill Russell. Con la leggera differenza che Bill Russell aveva un vissuto con la squadra che ha portato sul tetto del mondo molto più intimo e confidenziale rispetto a un perfetto sconosciuto arrivato sulla panchina più antica e prestigiosa della NBA solo per le smanie lascive di Ime Udoka. Chi pensa che Mazzulla abbia avuto solo il merito di godere dei benefici lasciati dai suoi predecessori è uno sprovveduto incapace di riconoscere la capacità di un signor nessuno di guadagnarsi il rispetto di fior fior di campioni e di vincere a mani basse il duello con un Jason Kidd apparso non capace di apportare quegli accorgimenti necessari per provare a invertire la tendenza della serie.

I complimenti vanno anche se non soprattutto al vero artefice di questo successo, Brad Stevens che da quando ha abbandonato la panchina per diventale il “President of Basketball Operation” dei Celtics ha costruito tassello dopo tassello un team fatto di tessere necessarie per diventare un puzzle perfetto. Aggiungere ai Celtics, già protagonisti nelle edizioni scorse di finali di conference e Nba Finals, due pedine del valore di Jrue Holiday e Kristaps Porzingis è stato un capolavoro così come entusiasmante è stato l’apporto di un altro frutto del mercato targato Stevens, Derrick White. E che non si parli di super team inteso come accozzaglia di figurine: questi Celtics sono un super team proprio perché insieme di giocatori funzionali l’uno per l’altro e non perché un’insieme di superstar accatastate una sull’altra. È questo il concetto vincente, il lavoro di squadra, il sacrificio l’uno per l’altro, l’altruismo che ben si distingue dall’hero ball e dal “questo possesso tiro io, al prossimo tiri tu”.

Finalmente i Jays ce l’hanno fatta e quel “we did it” urlato a squarcia gola da Tatum a fine gara dimostra tutta la voglie delle due stelle su cui si fonda il progetto Celtics, di chiudere un cerchio troppo a lungo rimasto aperto. Sono passati esattamente 16 anni da quel 17 Giugno del 2008 e i tifosi bianco verdi, con tutta la loro competenza, potranno fissare nella memoria nuovi protagonisti capaci di succedere ai vari Russell, Cousy, Havlicek, Bird, Parish, Mc Hale, Garnett, Allen e Pierce senza dimenticare chi, abbandonato questa vita pochi giorni fa, ma presente seppure su un adesivo nero con il suo nome ben in vista, contribuì da riserva di lusso a rendere vincente la versione di Boston migliore di sempre: parlo ovviamente di Bill Walton e di Celtic 85/86.

Se ci avessero fatto puntare qualche moneta sono quasi certo che in caso di vittoria del titolo dei Celtics avremmo in molti pensato a un Jayson Tatum MVP e invece il Bill Russel Trophy se lo è portato a casa Jaylen Brown, costante in attacco per tutti i playoffs e duro lavoratore in difesa contro lo spauracchio numero 77 in maglia Mavs. Brown si è preso una rivincita incredibile contro i suoi detrattori che l’anno scorso lo hanno accusato della sconfitta in gara 7 contro gli Heat nonostante il disperato tentativo quasi riuscito di ribaltare uno 0-3 in contumacia Tatum. In questa stagione di Playoffs Brown ha giocato un ruolo fondamentale e nelle Finals ha sopperito alle carenze realizzative del suo compagno di sempre appesantito da percentuali non proprio entusiasmanti. Però, lasciatemi un però, se personalmente avessi avuto l’opportunità di votare, il mio voto sarebbe andato a Jrue, vero artefice del delitto perfetto ai danni dei Mavs. Difesa, attacco, leadership, carisma per colui che nel 2016 sembrava aver detto addio al basket giocato per dedicarsi alla moglie malata. È stato Holiday il vero equilibratore dei Celtics e non me ne voglia Jaylen ma il mio personale MVP va a l’uomo con le treccine.

Insomma, anche quest’anno la stagione è andata, sulla falsa riga delle ultime stagioni NBA e cioè con una regular season  ondivaga, con il punto più basso della sua parabola nel fine settimana dell’All Star Game, ma capace di tenerci incollati alla TV durante tutti i playoffs. Il Larry O’Brien Trophy è tornato a casa, laddove Mr. Walter A.Brown nel 1946 ha dato i natali a questa Lega e da primo Celtics della storia questa notte sarà stato orgoglioso di vedere i colori della sua creatura fregiarsi del 18esimo titolo di Campioni Nba, portando i Celtics a guardare tutti dall’alto verso il basso. E ora buona off-season a tutti e occhio a Luka, perché se un po’ abbiamo imparato a conoscerlo, arriverà alla prossima palla a due più affamato che mai.

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro. Francesco Rivano ha presentato il suo libro nella Club House della Dinamo Sassari.