Ecco come l’Olimpia Milano ricorda tutta la sua storia, un gradino alla volta
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Ogni gradino ti porta più vicino all'arena, al parquet, quello intitolato a Cesare Rubini, uno dei "Founding Fathers" dello spirito Olimpia. Ogni gradino è un pezzo di storia. Ogni gradino può incutere timore, ma serve per ricordare cosa significhi far parte dell'Olimpia. Il primo gradino: 1936 è l'anno di fondazione del club. Il secondo gradino ricorda una data, il 14 aprile 1957, il giorno della conquista del decimo scudetto, della prima stella che riguarda tutti i primi protagonisti della storia dell'Olimpia, da Giannino Valli, coach del primo titolo, ai primi eroi, Castelli, Paganella, Sforza; alle prime stelle come Stefanini, Pagani, Gamba, ovviamente Rubini, poi Pieri e Riminucci. Il terzo gradino ricorda un'impresa: Paolo Vittori, isontino che poi avrebbe giocato e bene anche a Varese, il 23 gennaio 1964 segnò 43 punti in una partita di Coppa dei Campioni. Vittori, un'ala tra i più grandi scorer della storia italiana, lasciò l'Olimpia nel 1965 proprio quando la Federazione consentì l'utilizzo di uno straniero in campionato e due nelle coppe internazionali. Ma prima di arrivare a quel giorno, il 3 maggio 1964, Sandro Riminucci segnò 77 punti in una partita di campionato. Non ha difficoltà a ricordare che l'impresa fu costruita a tavolino da Rubini: voleva rispondere all'allenatore della Nazionale, Nello Paratore, che non voleva più Riminucci in azzurro. Storie di polemiche antiche.
Ogni gradino è un pezzo di storia
Salendo, un gradino alla volta, si arriva in campo. Questa è la scalinata che ad ogni partita accompagna i giocatori dell'Olimpia. E poi gli allenatori. Ogni gradino è un pezzo di storia. Sui muri, le vittorie della squadra; il Mediolanum Forum strapieno, in festa, simbolo dell'unione tra Milano e la sua squadra. Non servono slogan, incitamenti. Basta il peso della storia e della passione. Non serve altro per capire cosa significhi essere un giocatore dell'Olimpia. E se lo farai molto bene un giorno avrai il tuo nome, pochi metri più basso, laddove tutti i membri della Hall of Fame sono rappresentati su un muro rosso, in ordine cronologico. Con il loro numero di maglia. Enrico Pagani e il 5. Gigi Datome, il più fresco eletto, con il 70. Il muro è pieno, ci sono tanti giocatori che hanno vinto e interpretato lo spirito dell'Olimpia. Ma spazio ce n'è sempre stato e sempre ci sarà.
L'Hall of Fame Wall dell'Olimpia Milano
Far parte di un club speciale è una sensazione che si respira ogni momento. All'ingresso della sede ci sono le coppe più importanti, quelle vinte a livello internazionali, e quelle che rappresentano tutti gli ultimi dieci scudetti. Il 21°, nel 1985, Dan Peterson, Joe Barry Carroll, Russ Schoene; poi il 22°, quindi il 23°, il primo di Bob McAdoo e così via fino ad arrivare agli ultimi due, il 29° e il 30°: Sergio Rodriguez, Gigi Datome, Nicolò Melli, Shavon Shields. E ancora il corridoio che conduce nei locali, al campo di allenamento, allo spogliatoio, con le altre coppe, gli scudetti più antichi, pezzi di storia, una targa che venne donata a Sergio Stefanini quando nel 1954 diventò capocannoniere del campionato. Ogni metro è un ricordo, un omaggio, una lezione.