Chacho Rodriguez: "Il rapporto con Milano è stato unico"

Fonte: Olimpia Milano
Chacho Rodriguez: "Il rapporto con Milano è stato unico"

Lunga intervista rilasciato dal Chacho Rodriguez all'Olimpia Milano in occasione del suo ingresso nella Hall of Fame del club. Chacho Rodriguez: nel 2019 dopo aver vinto la seconda di tre Euroleghe hai lasciato Mosca e scelto di venire a Milano. Perché? “Stavo giocando in una corazzata, il CSKA Mosca, prima avevo giocato anche nel Real Madrid. Ma andare in una squadra dove sentivo di poter creare qualcosa di speciale è stato ciò che più mi motivava. Vedevo grande potenziale in questa squadra, nella città, i tifosi, una figura come quella di Ettore. Tutto questo mi ha dato la benzina per essere totalmente motivato nella scelta fatta. Volevo creare qualcosa di nuovo”

Che idea avevi di Milano? Cosa ti attraeva? “Ho sempre detto e pensato che giocare qui è come giocare al Madison Square Garden. Parlo del campo, i tifosi, le luci, la bellissima città che c’è attorno. Tutti vogliono giocare bene qui, tutti si preparano per questa partita, anche quando non è cruciale per la classifica, non importa, tutti vogliono giocare bene qui. Anche io volevo farlo, perché l’atmosfera è sempre stata bellissima”.

Nel tuo primo anno a Milano ci sono stati soprattutto all’inizio in EuroLeague momenti davvero entusiasmanti. “Eravamo tutti motivati a rendere questa squadra subito vincente. Siamo venuti a Milano ad allenarci molto presto: la nostra preseason è stata eccezionale, abbiamo vinto credo tutte le partite, e all’inizio in EuroLeague abbiamo avuto una serie di gare impressionante. E così mi sono subito innamorato dell’idea di giocare al Forum, dei tifosi. È stato subito un rapporto sorprendente, che non mi aspettavo quello che ho avuto con Milano. Pensavo che mi avrebbero aiutato, ma non al livello sperimentato in quelle prime settimane. Il primo impatto con questo ambiente è stato stupefacente”.

Poi prima che la stagione venisse interrotta dal COVID ci sono stati anche momenti negativi. “Ma da quel momento, dopo il primo impatto, che le cose siano andate bene o male, il solco era stato tracciato. Abbiamo faticato un po’ in campionato. Onestamente, non avevo familiarità con quello che giocare in una nuova lega avrebbe richiesto. In Coppa Italia siamo andati male, pensavo che avremmo fatto meglio invece perdemmo la semifinale con Venezia, che però negli anni precedenti aveva fatto molto bene. Alla fine, penso che quella delusione ci abbia dato energia per provare a migliorare. Poi è arrivato il Covid e paradossalmente ci ha reso ancora più uniti. Non dico solo la squadra, ma anche lo staff, le persone che lavoravano nel club. Eravamo ormai una famiglia. Sentivamo anche la vicinanza della gente. Abbiamo costruito una grande squadra in quel periodo. La stagione dopo siamo tornati a lavorare ancora prima. La nostra fantastica stagione di EuroLeague è nata lì. E anche se poi abbiamo perso la finale con la Virtus, credo che anche quello ci abbia reso più forti e determinati a continuare a inseguire lo scudetto”.

Come è stato trovarsi proprio a Milano quando è esplosa la pandemia? “È stato un periodo strano, nessuno sapeva cosa aspettarsi. Ogni giorno dovevamo adattarci a qualcosa di nuovo. Tutti ci chiedevano notizie dagli altri paesi, dalla Spagna, dappertutto. Ma non sapevamo cosa rispondere, tutto esplose dopo la partita di Valencia. Dopo quella partita, la lega italiana venne sospesa. Da quel momento tutto è diventato più complicato, sentivamo anche il dolore che la gente stava provando, le sofferenze. Sapevamo cosa stava succedendo, ma realizzare quanto fosse grande il problema è un’altra cosa””.

Hai detto che in quei mesi è nata la grande stagione 2020/21. “Il mio unico rimpianto è che non avevamo tifosi a riempire le tribune. Ma sentivamo che era importante per loro dargli quel tipo di stagione, perché tanta gente stava soffrendo. In Italia, a Milano, avevamo enormi restrizioni, più che altrove, e sentivamo la responsabilità di essere a nostra volta responsabili, professionali e possibilmente vincere le partite e rendere la nostra gente felice. È stata una stagione stupefacente, terzi in EuroLeague, le Final Four, una stagione che non dimenticherò”.

Rimpianti per quanto successe a Colonia? Il tiro sbagliato da Punter, quello segnato da Higgins? “Nelle Final Four abbiamo combattuto. In una Final Four tutto può accadere. Lo so bene io, l’ho sperimentato tante volte. Ci sono momenti in cui le cose ti vanno bene o male, in cui una squadra è migliore o solo più fortunata. Con il Barcellona non siamo stati fortunati. Ma non puoi essere deluso quando hai provato a vincere con tutto te stesso. Però è vero avevamo buone sensazioni giocando contro il Barcellona e anche contro l’Efes, che ha vinto, perché lo battemmo due volte in quella stagione. Chi lo sa? Ma di quella stagione ricorderò sempre il percorso non l’epilogo”.

Cosa successe nella finale scudetto del 2021? “Come giocatore, non ho mai cercato scuse, ma qualche volta ci sono cose che da fuori non si vedono e sono quelle che ti condannano. Le Final Four del 2021 sono state strane. Siamo dovuti andare a Colonia con un giorno di anticipo. Abbiamo avuto problemi con il volo di ritorno e siamo dovuti rimanere un giorno in più. Inoltre, la semifinale con Venezia era prima e dopo le Final Four. L’errore che abbiamo fatto è stato di cercare di fare tutto troppo velocemente. Abbiamo voluto giocare subito e questo ci ha penalizzato, perché non avevamo energia. In Gara 1, la Virtus era arrivata preparata. Avevano avuto più tempo per prepararsi. Avevano più energia e hanno giocato meglio di noi. Quando siamo andati a Bologna non avevamo più nulla dentro di noi”.

In EuroLeague avevamo avuto un’altra grande opportunità l’anno seguente. Ma ci furono tanti infortuni nel momento sbagliato. “Sì, fu un’altra grande stagione in EuroLeague, nonostante tanti problemi: perdemmo prima Moraschini e poi Mitoglou. Nei playoff trovammo l’Efes, i campioni in carica, che avrebbero vinto di nuovo. Credo che commettemmo un errore in Gara 1. C’era il derby di calcio quel giorno, l’arena non era vuota, ma al tempo stesso credo che la gente non avesse realizzato l’importanza di quella partita. E forse neppure noi. Perdemmo quella partita, e perdemmo anche Melli e Delaney. Mostrammo tanto orgoglio nella seconda partita. Vincemmo. E poi ci furono delle chance anche a Istanbul, ma non ce la facemmo. Loro erano una grande squadra, noi non eravamo al top. Peccato”.

Restava da vincere il titolo. “Lo scudetto a quel punto lo stavamo inseguendo da tre anni. Dopo la sconfitta dell’anno precedente, per un anno, ogni volta che andavo a letto la sera pensavo ai miei problemi personali e poi mi ripetevo “Quest’anno dobbiamo vincere lo scudetto”. Lo volevo con tutte le mie forze. Avevo buone sensazioni. Per la seconda volta consecutiva avevamo vinto la Coppa Italia. La Virtus però era forte, infatti aveva chiuso la regular season al primo posto. Ma vincere il titolo qui, in casa, è stato davvero speciale. Ricordo la semifinale contro Sassari. Battemmo Sassari a casa loro e quella notte, dopo la vittoria, andai su YouTube a guardare i festeggiamenti passati dell’Olimpia. Vidi cos’era successo e da quel momento ho pensato solo che avrei voluto assaporare anche io quelle sensazioni. Avevamo la possibilità di vincere lo scudetto a Bologna, ma al tempo stesso ero combattuto. Volevo vincere quella sera, ma mi dicevo che sarebbe stato più divertente vincere il titolo a casa nostra. Era un rischio, se avessimo perso Gara 6 magari avremmo perso anche Gara 7, ma vincere qui, con tutta la nostra gente, la mia famiglia, i miei amici, i tifosi che ci hanno davvero sospinto a raggiungere quel traguardo, è stato il culmine della stagione”.

Parliamo del tuo rapporto con la tifoseria. “Quando sono arrivato qui, mi dicevano che la gente a Milano non è calda come in altri posti. Ma fin dalla mia prima partita con lo Zalgiris, in tutte le grandi partite, in quella Gara 6, i tifosi sono stati fantastici. Il Forum è un’arena verticale e la gente è davvero dentro la partita. E così abbiamo vinto quella partita in casa, la partita dello scudetto, dopo qualche anno di attesa: è stato magico”.

In quella Gara 6 hai fatto cose incredibili inclusa quella tripla contro Pajola da dieci metri. “Quelle sono le partite che senti che vincerai. Non sai come e perché ma le vincerai. Ci sono partite che ti rendi conto che perderai, altre che pensi di vincere ma sai che esiste la possibilità di perdere. Ma non quella. Era tutto perfetto. Sapevo che avremmo vinto. Avevamo giocatori come Kyle, Gigi, Shavon, loro quella sera erano pronti. Ma era così anche l’allenatore, tutto lo staff, tutta la gente. Eravamo pronti per vincere e per festeggiare. Tutto è andato nella nostra direzione. Ci sono tiri più facili che in altre situazioni sbagli, ma non in quella situazione, quando senti di avere la fiducia in te stesso hai anche fiducia di segnare tiri così difficili”.

È stato difficile andarsene? “È stato difficile, perché è raro che tu ti senta a casa quando vivi in un altro paese. E noi sentivamo di essere davvero a casa. Il mio terzo figlio è nato qui, mia moglie ama l’Italia, avevamo un gruppo di amici al di fuori del basket affiatati, la scuola, la vita, il basket. Era tutto perfetto. Ma volevo cercare di finire nel modo che volevo. Dopo tre anni, sentivo di aver chiuso un cerchio, tutto era stato perfetto dal primo giorno all’ultimo. Era il momento perfetto per cambiare. Andarsene è stato anche triste, perché stavamo bene, ma ripeto: era il momento giusto. Anche la squadra aveva bisogno di guardare le cose da una prospettiva diversa. Era giusto farlo”.

Ma se non ci fosse stato il Real Madrid? “Tornare a Madrid mi ha dato la possibilità di chiudere il cerchio anche a Madrid. Ma eravamo in una situazione in cui dovevo fare un passo indietro e decidere cosa fosse meglio per me, per la squadra, per tutte le persone coinvolte in modo che tutto si chiudesse nel modo migliore. E tornare a Madrid lo era”.

Perché la gente, ovunque, ti apprezza così tanto? “Voglio che questo concetto sia chiaro. Sono stato trattato bene ovunque, naturalmente a Madrid, a Mosca, nella NBA, ma quello che ho avuto qui è stato speciale, è stato unico. Fin dal primo minuto, credo che la gente abbia avvertito che ero venuto per aiutare, in modo responsabile, professionale. E questo rapporto che ho avuto con la gente del Forum, non l’ho mai avuto altrove, non l’ho mai visto, mi ha spinto ad essere sempre migliore, a giocare sentendo la fiducia di tutti. Credo sia stata una questione di empatia, che va oltre il basket e quello che succede sul campo. La gente ha capito che ero davvero coinvolto nel progetto”.

La tua carriera ha superato le tue stesse aspettative? “Tutte le decisioni che ho preso come giocatore sono state condizionate dalle circostanze, dalle situazioni. Sono stato fortunato di aver avuto la possibilità di fare quello che volevo fare. Se avessi preso delle decisioni diverse forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma sono felice, orgoglioso, della carriera che ho fatto. Ho giocato nel Real Madrid, l’Estudiantes mi ha dato l’opportunità di emergere, ho giocato nella NBA, a Mosca, nell’Olimpia Milano con tutta la sua storia e ho potuto avere un legame fortissimo con questo club. Oggi sono veramente felice. Sono stati vent’anni in cui ho fatto quello che amo fare. Sento di essere stato fortunato”.