Trento, Saliou Niang parla di Galbiati e degli ostacoli alla crescita

Trento, Saliou Niang parla di Galbiati e degli ostacoli alla crescita
© foto di Balzanelli/Ciamillo

Saliou Niang, la nuova giovane stella della pallacanestro italiana affermatosi in questa stagione in quella Dolomiti Energia Trentino che è in testa alla classifica della serie A 2024-25, è stato intervistato per l'inserto settimanale della Gazzetta dello Sport “Sportweek”, cominciando dal nome (Così si chiamava una persona che Senegal è stato importante a livello religioso, ha aiutato molte persone”) per raccontare il suo percorso di crescia.

Sulla scelta di giocare per la Nazionale italiana nonostante fosse nato in Senegal: “Innanzitutto perché sono cresciuto qua. In Italia sono arrivato a due anni e questo Paese ha fatto di me ciò che sono ora. Mi sentivo in debito, se posso dire così. E comunque, a che non piacerebbe vestire la maglia azzurra?”.

Nonostante ciò, Niang sente di avere radici africane. “La cultura che mi hanno dato mamma e papà è una cultura africana. A volte mangiamo tutti dallo stesso piatto. La musica che ascoltiamo. Prima ancora, i genitori africani sono un po’ diversi da quelli italiani. Sono più severi. Se non fai quello che dicono si arrabbiano. Tipo, se mia madre mi rimprovera per una cosa e io le rispondo “Non è vero”, mi massacra. Ecco per un padre e una madre africana il rispetto è fondamentale”.

Niang ha mai fatto in conti in Italia con il razzismo? “Una sola volta, alle Media. Un ragazzino mi diede del “negro” e io gli tirai uno schiaffo. Finii dalla preside e la cosa si venne a sapere in tutta la scuola. All’uscita erano tutti lì ad aspettarmi per chiedermi se fosse successo davvero. I miei compagni allora insultarono il ragazzo che mi aveva attaccato”.

Coach Galbiati ha definito la sua storia come bella da raccontare: “Una storia che, se la guardo adesso, la definisco bella visto il momento che sto vivendo, però, allo stesso tempo, se ci ripenso dico che è stata dura perché se fino a 16 anni mi sono sempre divertito giocando a basket, dopo è arrivato il periodo brutto. Quell’infortunio alla caviglia, cinque anni fa. Ero alla Fortitudo Bologna. Mi faccio male in ritiro, ricadendo male dopo un salto. Mi rimandano a casa in stampelle con la caviglia sinistra gonfia. Faccio una risonanza dopo quasi un mese dall’incidente. Viene fuori che ho rotti tre legamenti e uno è lesionato, roba che nessuno si aspettava. Mi ero fatto male ad agosto e rientro a febbraio 2021. Ma alla caviglia continuo a sentire dolore e ancora adesso è un po’ gonfia. Insomma, gioco due-tre partite e mi fermo. I miei genitori mi portano da un ortopedico a Reggio Emilia. Guarda la mia caviglia e dice che non ne ha mai viste di così brutte. A luglio mi opera. Nella stagione successiva resto alla Fortitudo, dopo un mese di preparazione mi viene una frattura da stress sotto il piede, lo stesso della caviglia, e perdo altri tre mesi. Torno dall’ortopedico a Reggio Emilia, che mi trova dei frammenti di osso sotto il malleolo. Mi opera di nuovo. E così si chiude il secondo anno di buio. In quei momenti sei solo con te stesso e ti chiedi se tornerai mai quello di prima. A 18, 19 anni non è facile. La famiglia mi ha aiutato molto, però a volte evitavo anche di dirglielo, come mi sentivo fisicamente e mentalmente, perché quasi ci rimanevano più male di me. Cercavo di rimanere positivo, sapevo che la strada sarebbe stata lunga, ma ero giovane e mi dicevo che sarebbe stata solo questione di tempo e di lavoro”.

Niang ha poi sottolineato il rapporto con coach Galbiati: “Arrivo a Trento nell’estate di due anni fa. A inizio stagione, in allenamento la prima squadra faceva la partitella e io restavo fuori a guardare e ad applaudire. Il coach mi passava davanti e diceva: "Ma tu perché non entri?", e io zitto. Cosa avrei dovuto rispondere, "Coach, non so cosa fare, devo dire a un senior di uscire per farmi posto"? Insomma, lui fa: "Eh, te lo dico io perché non entri: perché c'hai le palle cosi* (chiude indice e pollice in un minuscolo cerchio). Finalmente, un giorno mi decido a fare cambio per un senior e da quel giorno riesco a giocare un po' di più in allenamento, iniziando a sentire la fiducia di Galbiati: mi correggeva, mi spiegava i movimenti... Da parte mia cercavo di mettermi in mostra facendo il lavoro sporco: un salto in più a rimbalzo, un tuffo su una palla vagante... Poi Galbiati decide di buttarmi in campo in Eurocup, contro l'Aris. La mattina mi fa: "Tu ce le hai, le palle?". Stavolta gli rispondo: "Io sì". "Allora stasera parti in quintetto". Sono super emozionato, super agitato, la sera in campo non capivo niente. Prima azione, palla loro, sbaglio la marcatura. Sento un compagno, Grazulis, che urla: "Jesus Christ!". Faccio subito due falli e un airball, un tiro che neanche arriva a canestro. Richiamato all'istante in panchina. Questo succede martedì, la domenica giochiamo in casa contro Venezia e io penso: "Basta, sono entrato, ho fatto il mio disastro, per me finisce qui". Invece il coach mi fa partire ancora in quintetto, faccio 5 punti e vinciamo di 30. Da lì è iniziato tutto e, sì, Galbiati mi ha dato tanto”.