LBA - Olimpia, Deshaun Thomas "Sarò l'anello mancante per tornare alle Final Four"
Immagina di entrare il primo giorno in palestra. Squadra nuova. Ambiente nuovo. Paese nuovo. Sei di Fort Wayne, Indiana, ma in realtà un cittadino del mondo perché la tua carriera ti ha fatto diventare tale. Francia. Spagna. Israele. Turchia. Grecia. Giappone. Germania. E ora Italia. Ma in un angolo vedi una figura conosciuta. È l’allenatore che ti ha scelto nei draft NBA dieci anni prima, che ti ha anche allenato. È l’allenatore che ha segnato un’epoca e vinto cinque titoli. È Gregg Popovich. “Sì, è stata una sorpresa, ovviamente so che Coach Messina conosce bene Gregg e so che a Gregg Popovich piace viaggiare in Europa e vedere le squadre. Ma è stato qualcosa di surreale vederlo lì, ad assistere al nostro allenamento. Loro (i San Antonio Spurs) mi hanno scelto, a lui devo una grande esperienza, così è stato bello rivederlo”.
Deshaun Thomas ha giocato un anno nella NBA solo uno, ma si è costruito una solida carriera professionale perché ha giocato in EuroLeague praticamente in ogni singola stagione successiva al triennio trascorso ad Ohio State. E quando ne parla giustamente lo fa con una punta di orgoglio. Con tanto orgoglio. “La prima cosa che mio fratello mi ha messo tra le mani è stata un pallone. È stato subito speciale, e lui sapeva che era speciale. Ho cominciato seriamente in terza o quarta elementare. Mi ha conquistato subito. Giocavo al parco, giocavo in squadre e giocavo dappertutto, così il mio gioco è cresciuto, ho cominciato a diventare davvero bravo e poi sono arrivato ad alto livello. E questa è la mia decima stagione da pro. È stato un dono”.
MR INDIANA E OHIO STATE
“Ogni ragazzo sogna, di sicuro lo sognavo io, soprattutto alle medie e al liceo, di diventare Mister Indiana. Quando ti danno un premio come questo, non hai limiti. Diventi noto dappertutto. Ed essere incluso in una categoria che comprende nomi come quelli di Larry Bird e Oscar Robertson è indescrivibile. Ma ti fa anche capire quanto hai lavoro duro per arrivare fino lì e ti fa capire di essere stato ricompensato”, dice Deshaun, che alle spalle ha una storia da predestinato. Ha portato la sua scuola a due titoli dello stato. Aveva l’Indiana ai suoi piedi. “Potevo andare a Indiana, potevo andare Purdue, ma sono andato a Ohio State perché volevo vedere qualcosa di nuovo, uscire dalla mia città, vedere com’era l’ambiente in un altro posto. E poi Thad Matta è un grande allenatore che non era solo interessato all’aspetto tecnico, ma anche ai voti, al carattere. Per un ragazzo della mia età era importante. E la ragione per cui sono andato appunto a Ohio State”. Ha lasciato un po’ gli Hoosiers all’altare, ma ne è valsa la pena. Con i Buckeyes ha vissuto tre stagioni di altissimo livello e assaporato il fascino delle Final Four che vuol dire giocare davanti a 70.000 spettatori in un “dome”, in questo caso quello di New Orleans. “Quella è stata una stagione eccezionale, in cui sono esploso, mi sono affermato. Non ho mai avuto problemi di falli fino a quella partita e che sia successo proprio nelle Final Four (contro Kansas in semifinale), quella è l’unica cosa che rimpiango. Ma in generale, è stata una grande stagione, individualmente ho giocato a livelli notevoli, ho giocato duro in una grande squadra. Arrivare alla Final Four è stata una gioia incredibile per Ohio State. Poi ho fatto anche un altro grande anno e da quel momento non ci sono stati limiti alla mia crescita ed eccomi qua”.
EUROLEAGUE ADVENTURES
“Sono passato attraverso il processo di selezione dei draft NBA. Ero contento di essere stato scelto, perché di tutte le persone al mondo io ero uno dei 60 giocatori scelti nel draft e mi sono trovato a Nanterre, in Francia”, racconta. In gergo si chiama “draft and stash”, scegli un giocatore, non è ancora pronto e allora lo mandi in Europa per non perderne i diritti e vedere come evolve. L’operazione venne curata dai San Antonio Spurs. Ma per un ventenne americano trovarsi a Nanterre non è semplice. “È stato duro, anche per mia moglie. Siamo scesi dall’aereo, saliti in auto, ci siamo guardati attorno e lei ha cominciato a piangere. Ti prego non farlo, le ho detto. Appena scesi dall’aereo, ci siamo chiesti dove fossimo finiti. Ma ciò che ci ha aiutato è stata la presenza di altri americani in squadra. Avevano le loro famiglie e capivano cosa stessimo passando. Ci hanno aiutato per tutto l’anno. Superato l’impatto iniziale, ci siamo trovati bene. Avere accanto persone di valore mi ha aiutato tantissimo nella mia carriera”, dice. Da allora non si è più fermato: è tornato a San Antonio un anno, ma soprattutto ha fatto il giro delle migliori organizzazioni europee, Barcellona, Efes, Maccabi, Panathinaikos, Bayern. “Quello che conta è la continuità. Sono in questa lega da una decina di anni e per avere successo in ogni squadra ho sempre lavorato duramente. E poi quando sei continuo, non ci sono limiti a quello che puoi essere. A tanti allenatori piacciono i giocatori come me, che creano mismatch individuali, che fanno un po’ di tutto, che sia tirare o prendere i rimbalzi. Ma credo che la chiave sia la consistenza, questo è ciò che piace alle squadre dei loro grandi giocatori”, spiega. Però gli è mancata una cosa, gli è mancata una Final Four. “Ci sono andato vicino tante volte – dice -, al Barcellona, all’Efes, due volte in Grecia, l’anno scorso in Germania. Quando succede ci pensi sempre, cerchi soluzioni. Il tipo di carriera che ho avuto mi ha aiutato a restare in questa lega, ma alla fine conta vincere e andare alla Final Four. Arrivare in cima mi garantirebbe molto più rispetto a fine carriera ed è l’obiettivo che ho adesso, che ho sempre avuto. Arrivare alle Final Four e vincerle. Dopo, il mio curriculum sarebbe perfetto”.
E ORA MILANO
“Quando pensi ad un giocatore come me – si presenta -, sai che ti aiuterò in tanti modi diversi. Per giocare da 3 devi essere in grande forma. Ovviamente, posso cambiare marcatura e offensivamente diventare un incubo in termini di mismatch. E’ una questione di ritmo, opportunità, tempismo, soprattutto nella posizione di ala piccola. I miei anni giocando da 4 sono stati i miei anni migliori, ma guardando indietro sia in Grecia che al Maccabi ho giocato 4-5 minuti a partita da 3 e sono andato molto bene. Dipende da tante cose. Ma se tiri bene, con percentuali alte, soprattutto in quei ruoli in Europa sei a posto. Difensivamente, dipende anche dagli accoppiamenti e delle situazioni, possono inseguire i piccoli o cambiare su di loro. Ma dipende da cosa serve per aiutare la squadra, in fondo sono qui per fare quanto serve”. L’Olimpia spera sia lo strumento finale per coronare un sogno. “L’ho scelta perché è una grande società. E mi piace la squadra. Credo che questa squadra abbia la possibilità di fare ciò di cui parlavamo, tornare alle Final Four. Dopo esserci andato vicino tante volte, vorrei essere il pezzo che manca per aiutare questa squadra a fare l’ultimo passo. E poi Coach Messna. Ha grande esperienza. Lo conosco attraverso gli Spurs. È un grande allenatore. Guardando la sua squadra negli ultimi due anni, penso che manchi un solo pezzo. E io posso essere quel pezzo”.