Addio a Lou Carnesecca, icona degli allenatori di basket. Il ricordo di Valerio Bianchini
Il 30 novembre 2024 è e rimarrà un giorno profondamente triste per la pallacanestro, che ieri ha salutato una leggenda del basket mondiale, oltre che uno dei padri fondatori del nostro sport. Lou Carnesecca ci ha lasciati all’età di 99 anni, una longevità inconsueta come pittoresco era il suo approccio alla vita e al suo mestiere, quello di allenatore di basket: figlio di emigranti italiani che partirono da Pontremoli e sbarcarono ad Harlem dove riuscirono ad aprire un negozio di alimentari, “Looie” nel 1992 è stato indotto nella Hall of Fame di Springfield, doveroso riconoscimento a una carriera incredibile soprattutto a livello di College: 526 vittorie in 24 stagioni NCAA tutte alla guida di St. John’s, dove ha allenato e lanciato stelle come Chris Mullin, Walter Berry e Marc Jackson, il College nel quale ad esempio si è laureato anche John McEnroe, ancora oggi grande tifoso dei Red Storm, che non a caso giocano nel Queens nella… “Lou Carnesecca Arena”, impianto che gli è stato “dedicato” nel 2004.
Eppure, chi ha avuto il privilegio di incrociare Lou Carnesecca, ne ricorda innanzitutto la straordinaria umanità, l’innata simpatia, l’originalità in campo e fuori. Nel 1966 un suo Clinic tenuto a Milano alla presenza di tanti illustri coach italiani tra cui Cesare Rubini, Dido Guerrieri e Valerio Bianchini ha scritto una pagina di storia della nostra pallacanestro. In campo la nostra Nazionale Juniores allenata da Carnesecca, che per l’occasione sfoggiò anche un italiano praticamente perfetto e aprì ai nostri tecnici un nuovo mondo di conoscenze e soluzioni. Il 30 novembre 2024 ci ha lasciati un gigante: grazie infinite Looie, per averci insegnato con la tua genialità e i tuoi sorrisi ad amare ancora di più la pallacanestro, non importa a quale latitudine.
IL RICORDO DI VALERIO BIANCHINI. Tra i presenti allo storico clinic del 1966 coach Valerio Bianchini, il cui ricordo di Carnesecca è ancora vivo: “L’arrivo di Lou in Italia – dice – si innesta in un periodo storico molto particolare per la nostra pallacanestro: siamo a metà degli anni ’60, appena dopo i Giochi Olimpici di Roma dove l’Italia, dal nulla, arrivò quarta. In casa nostra imperava la storica rivalità tra Ignis Varese e Simmenthal Milano e già allora la nostra classe di allenatori era ad un livello molto evoluto. Non c’era stato però ancora alcun contatto diretto nel nostro Paese con un esponente del basket americano. Si può dire fosse un’attesa ‘messianica’. Allora il nuovo Presidente della Fip, l’innovativo Claudio Coccia, chiamò Carnesecca in Italia e il Clinic che tenne riscontrò un successo senza precedenti in termini di partecipazione. Erano anche gli anni in cui la nostra Federazione aprì a più di uno straniero per squadra nel campionato nostrano e a Milano arrivò lo straordinario talento di Bill Bradley. Si può dunque parlare di un ‘annus mirabilis’ per il nostro sport. Lou parlava un italiano perfetto e con la sua formidabile carica umana seppe innestare la sua visione della pallacanestro nella nostra già strutturata idea di basket portando un approccio diverso al basket e aprendo la mente ai nostri coach. La raffinatezza del basket di College trovò naturale connubio con il nostro basket dando l’inizio, di fatto, al basket moderno. Posso certamente dire che se il primo padre fondatore del basket moderno fu Nello Paratore, il secondo fu senza dubbio Lou Carnesecca, che dopo quel Clinic aiutò l’Italia a diventare un punto di riferimento del basket anche in Europa aprendo la via alla grande stagione degli Anni ’80. Un aneddoto in particolare mi colpì: dopo il Clinic (al quale come dimostratori parteciparono gli Azzurri della Nazionale Juniores in partenza per gli Europei di categoria con giocatori come Meneghin, Bariviera e Marzorati tra gli altri) noi allenatori italiani ci tenemmo in contatto con lui negli anni a venire e ogni volta che qualcuno di noi andava negli USA lui era sempre gentile e prodigo di consigli. Una volta, vedendolo guardare pellicole delle gare dell’anno successivo gli chiesi dettagli sul famoso attacco che utilizzava già da qualche anno. Dopo i suoi consigli tornai in Italia e lo adottai per altri 10 anni, fin quando non cambiarono la regola dei secondi per il possesso palla. Questo per dire quanto già ai tempi Lou fosse avanti”.