Bob Morse: «Il no alla NBA e il sì a Varese, così ho fatto la mia fortuna»

Bob Morse: «Il no alla NBA e il sì a Varese, così ho fatto la mia fortuna»
© foto di Ladaga/Ciamillo

Bob Morse, l'ala di 203 centimetri nato a Philadelphia e uscito dalla locale UPenn ha costruito la sua carriera cestistica preferendo venire a giocare in Italia piuttosto che inseguire le sirene della NBA ma rimanere nel comfort di casa. In una intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport in edicola oggi ha raccontato di cosa lo ha spinto a partire.

Disponibilità e voglia di confrontarsi al massimo livello possibile. “La scelta era tra fare panchina in Nba con il minimo salariale o giocare per una delle squadre più forti d'Europa. I miei genitori avevano studiato francese e mi parlavano spesso dell'Europa: ero più aperto di tanti americani a un'esperienza così”.
A Varese arrivò sostituendo Manuel Raga. “ Era l'idolo del pubblico, un giocatore spettacolare. Nella mia prima partita in casa ero un po' nervoso: sbagliai i primi sei tiri e sugli spalti scandivano in coro "Raga, Raga". Poi segnai i dieci successivi e feci 45 punti. "Ma allora questo Morse non è così male", iniziarono a dire”.

Morse è stato un grande tiratore pur essendo alto oltre 2 metri. “All'inizio non credevano potessi segnare da 6-7 metri, mi marcavano da lontano sperando sbagliassi. Toni Kukoc una volta mi disse: "Avevo dieci anni, ma mi ricordo di te. Mi sei servito come modello, tiravi da fuori anche se eri altissimo". Mi commuove ancora oggi sapere che qualcuno si è avvicinato al basket grazie a me”.
Morse ha avuto due grandi coach, Sandro Gamba e Aza Nikolic. “Non sono mai stato così in forma come dopo le settimane in montagna con Nikolic. Lui sapeva come gestire le sfide difficili quando si andava a giocare dietro la cortina di ferro. Un'impresa. Gamba, che andava a trovare allenatori come Bobby Knight e Dean Smith, ci faceva giocare più all'americana. Sono stato fortunato ad avere entrambi”.

Bob è poi diventato il primo straniero a entrare nella Hall of Fame del basket italiano. “È stata una grande emozione, non solo per la carriera cestistica. Come esperienze di vita mi sento metà italiano: le mie figlie, Jennifer e Amanda, sono nate da voi. Sono arrivato senza sapere nulla e sono diventato professore di italiano all'università. Lavoravo nell'informatica, guadagnavo bene, ma mi mancava l'ispirazione. Così ho studiato e iniziato a insegnare, per restare legato al Paese. Ho tanti amici italiani anche a Portland. Amo la cultura, la storia, le tradizioni culinarie e artistiche. Ho visitato tutte le regioni, tomo almeno una volta l'anno. Ho organizzato cinque viaggi per amici e conoscenti. Con la mia famiglia allargata, in 11, ho fatto il viaggio della vita: lo ricorderò per sempre”.