Perché Olimpia-Maccabi non sarà mai una partita qualunque
Dicono che il Maccabi Tel Aviv fosse una sorta di squadra-stato, un club che però per Israele rappresentava tutta la Nazione, un simbolo, in uno sport americano in cui si poteva provare ad emergere in qualche modo a livello europeo, l’obiettivo numero 1 del club quando nel 1970 ad assumere il comando delle operazioni fu Shimon Mizrahi, ancora oggi Presidente del club. Nel 1977, il Maccabi vinse la Coppa dei Campioni per la prima volta battendo in finale la Mobilgirgi Varese a Belgrado, in una partita in cui la squadra italiana era considerata largamente favorita. A quella stagione risale la famosa, iconica, frase di Tal Brody, americano naturalizzato, uno dei grandi del Maccabi: “We are on the Map”. Siamo sulla carta geografica e ci resteremo, disse. Il Maccabi in quella finale sconfisse tra gli altri il giocatore con il numero 11, l’avversario che più di ogni altri la sua tifoseria avrebbe rispettato, applaudito, quasi invidiato: Dino Meneghin.
Quando l’Olimpia propose a Meneghin di ritirare la sua maglia numero 11, fu lui a chiedere che succedesse durante la partita con il Maccabi per il rapporto speciale che, durante la carriera e dopo, l’ha sempre legato al club gialloblù. Mizrahi chiese che anche il Maccabi potesse celebrare l’avversario ritagliandosi un piccolo spazio all’interno della cerimonia. Meneghin ha vinto le sue ultime due Coppe dei Campioni battendo con l’Olimpia proprio il Maccabi, nel 1987 a Losanna, nel 1988 a Gand. Sportivamente parlando avrebbero dovuto odiarlo. Invece, l’hanno sempre amato. “Ho sempre avuto un rapporto speciale. La mia prima volta a Tel Aviv risale al 1966 o 1967, si giocava all’aperto, con le panchine leggermente al di sotto del campo, come nel calcio. Da allora, quasi ogni anno li ha ritrovati, con Varese, con Milano, la Nazionale. Ho sempre apprezzato il loro stile, la loro sportività, la loro organizzazione, il desiderio di fare bene, una mentalità molto americana, quella di cercare di costruire qualcosa di importante. E per loro io sono stato probabilmente un avversario che combatteva, non si arrendeva mai e cercava di fare sempre del suo meglio”, racconta Meneghin. Quando il Maccabi decise di onorare Mickey Berkovitz, uno dei più grandi esterni che abbiano mai avuto, il club convocò un gruppo di “vecchie glorie” a Tel Aviv. Tra di esse c’era Meneghin. “Mi lasciarono entrare in campo per ultimo e ricevetti un’ovazione che mi commosse. E non mi vedevano da anni”, ricorda Dino.
Roberto Premier è un altro giocatore che potrebbe parlare per ore del Maccabi. O magari proprio di Mickey Berkovitz. I due si marcarono nella finale di Losanna, un altro dei tanti duelli di quel decennio. Ma in Svizzera quella sera non ci fu storia: Premier segnò 23 punti, fu il migliore in campo, e Berkovitz si fermò a otto. Già nel primo tempo dopo pochi minuti i due vennero quasi alle mani. Gli arbitri intervennero per sedare gli animi. Nessuno dei due coach si sognò di sostituirli per qualche possesso ed evitare guai peggiori. Sul possesso seguente si agganciarono ancora, terminando tutti e due in terra. Zvi Sherf, che era l’allenatore del Maccabi, chiamò il fallo in attacco di Premier. Gli arbitri sanzionarono Berkovitz. Premier andò in lunetta. 2 su 2. L’Olimpia vinse quella partita, in cui Meneghin giocò infortunato e si vide la gamba cedere sul lay-up della vittoria. In preda a dolore e crampi, non riuscì a finire il movimento. Il Maccabi ebbe così il pallone del supplementare o della vittoria. Meneghin restò in campo nonostante i guai. Il medico Franco Carnelli sarà sempre nella storia dell’Olimpia perché fu lui a curare Dino in diretta tv. Doron Jamchy, un altro fenomeno del Maccabi, si prese l’ultimo tiro senza avere una chance. Bob McAdoo afferrò il rimbalzo e diventò anche lui l’immagine della vittoria.
Ma quella tra Olimpia e Maccabi è una rivalità – sana – che va avanti da oltre cinquanta anni. Infatti, le due squadre si sono affrontate 14 volte prima ancora che l’EuroLeague cominciasse a esistere. La prima fu nel girone dei quarti di finale del 1972/73. L’Olimpia, con un solo americano, seppellì il Maccabi al Palalido 113-88. Cedette in modo fragoroso a Tel Aviv, ma con 25 punti di scarto. Salvò il doppio confronto e volò in semifinale dove venne eliminata da Varese. Il miglior giocatore del Maccabi era Steve Chubin, un’ala che a inizio carriera aveva giocato nell’Olimpia raggiungendo nel 1967 la finale di Coppa dei Campioni di Madrid, persa contro i padroni di casa. Poi era tornato in Europa dopo una buonissima carriera in America. Ma il Maccabi in quel momento stava diventando una realtà.
Nella stagione 1982/83 una vittoria di un punto, 69-68, a Milano qualificò l’Olimpia per la finale di Grenoble. E nel 1987/88, 99-93, l’Olimpia vinse a Tel Aviv per l’ultima volta prima che tornasse a farlo nel 2020 con il famoso canestro di Malcolm Delaney nel tempo supplementare, 32 anni dopo. Dopo quella vittoria ci sarebbe stata la finale di Gand vinta con Franco Casalini in panchina; i playoff del 2014 che videro il Maccabi eliminare l’Olimpia e realizzare quello che venne definito il “Miracolo di Milano”, ovvero due vittorie rocambolesche nelle Final Four contro CSKA Mosca e Real Madrid che si aggiunsero a quella non meno rocambolesca dei playoff in Gara 1 contro l’Olimpia. In tutto fanno 38 gare, 18 vinte dall’Olimpia e 20 dal Maccabi. A Milano, il record è 12-6 per l’Olimpia che a Tel Aviv ha vinto quattro volte su 18 tentativo, ma è 2-0 nelle finali di Coppa dei Campioni. Quelle del 1987 e del 1988, dei crampi di Meneghin, dei 23 punti di Roberto Premier, del rimbalzo, con palla tenuta in alto, di Bob McAdoo, di Peterson e Casalini, di Mike D’Antoni all’apice della sua parabola. Non potrà mai essere una partita come le altre.